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'La notte del corvo', in un fumetto la paura dei migranti ai tempi del West

05 marzo 2019 | 15.05
LETTURA: 3 minuti

'La notte del corvo', in un fumetto la paura dei migranti ai tempi del  West

di Loredana Errico

Un vecchio West popolato di migranti, vittime e giustizieri che assomiglia tanto alla nostra società. E’ ‘La notte del corvo’, il nuovo graphic novel del fumettista Marco Galli, edito da Coconino Press. La Bajada, una ridente cittadina costiera del Far West, si appresta a votare il nuovo sindaco. Ma dovrà fare i conti con il naufragio di una nave di immigrati, peones “illegali” venuti a cercar fortuna. La gente ha paura dei nuovi arrivati, e lo sceriffo Tinto Nada ha il suo bel da fare per tenere tranquilli i cittadini. A complicare le cose, poi, ci si mettono un giornalista venuto da San Francisco e l’improvvisa comparsa in città di un pistolero mascherato più feroce del demonio: l’assassino dalla testa di corvo detto El Grajo.

Un western atipico con un’amara riflessione sulle disparità sociali insanabili se non con la violenza. Nel libro, dunque, Galli affronta, per la prima volta esplicitamente, un tema politico, quello dei migranti: stiamo vivendo “una fase sconclusionata, di paura indotta e, un po’ come è successo nella storia, quando la gente ha veramente paura fa cose senza senso”.

L'Italia di oggi "spero sia in una fase finale anche se poi le fasi finali sono le più pericolose: un animale ferito messo in un angolo è più aggressivo. Probabilmente ci saranno anni abbastanza cupi ma credo che questo non sarà il futuro né dell’Italia né dell’Europa”. Il problema, però, è che rispetto a certe situazioni, “abbiamo sempre poca memoria”.

Il western di Galli è anche un ritorno alla vita e una sfida ai propri limiti, perché è “il primo libro che ho fatto dopo la malattia, una ripartenza” scrive l’autore. “La notte del corvo” è infatti il primo libro disegnato dall’autore “con mani di scimmia” (da qui lo pseudonimo ‘Apehands’ con cui l'autore nell'aprile del 2017 ha ricominciato a disegnare), dopo una grave malattia, uscendo da sette mesi di paralisi che gli avevano lasciato in eredità forti difficoltà nel controllo e nei movimenti degli arti.

Il risultato? Un disegno "essenziale ma vivo". “Un po’ quella cosa che cercava Picasso: il disegno puro, quello del bambino”. Si tratta di un percorso difficile “perché noi abbiamo sovrastrutture in tutto”. In arte si chiama tecnica e “per me è spesso un recinto piuttosto che un aiuto”. In questa fase di ‘rinascita’, invece, “siccome non potevo fare altro perché la mia mano 'anarchica' non rispondeva, c’è stata la scoperta di questo disegno istintivo, intuitivo, puro. Non voglio ricamarci troppo ma è stato molto interessante”.

In copertina, racconta l'autore, "mi sono firmato con due nomi (Galli e lo pseudonimo 'Apehands', ndr) perché è stato come lavorare con un altro disegnatore. La mia testa immaginava e la mia mano faceva quello che voleva ed io potevo solo accettarlo". "Non disegnerò mai più così liberamente" scrive Galli nella postfazione che in questi giorni è impegnato con un numero speciale di Dylan Dog che sarà pronto per l'anno prossimo. "Le mie mani, soprattutto la destra, non sono ancora 'umane', ma sono tornate nei ranghi e obbediscono per quello che possono, ormai".

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