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Mostre: Aosta, 'Carlo Fornara e il Divisionismo' al Museo Archeologico

22 ottobre 2019 | 10.55
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80 opere tra disegni e dipinti esposte Museo Archeologico Regionale

Le lavandaie di Carlo Fornara (Particolare)
Le lavandaie di Carlo Fornara (Particolare)

Il Museo Archeologico Regionale di Aosta ospita, dal 25 ottobre 2019 al 19 aprile 2020, la mostra 'Carlo Fornara e il Divisionismo'. L’esposizione, curata da Annie-Paule Quinsac e diretta da Daria Jorioz, presenta un ricco percorso espositivo di 80 opere tra disegni e dipinti. La mostra è corredata da un catalogo bilingue italiano-francese contenente i testi di Annie-Paule Quinsac, Daria Jorioz, Filippo Timo, pubblicato da Silvana Editoriale.

Carlo Fornara (1871-1968) sta riacquistando il ruolo di primissimo piano che ebbe nell’arte italiana ed europea a cavallo tra Otto e Novecento e la grande monografica aostana lo evidenzia al di là di ogni dubbio, sciogliendo ogni riserva e preconcetto nati dalla percezione di Carlo Fornara nella riduttiva veste di erede e imitatore di Giovanni Segantini: Fornara fu il suo assistente nell’estate 1898, e imparò profondamente la lezione del grande maestro che doveva scomparire tredici mesi più tardi, ma questo non spiega né la sua adesione al Divisionismo né l’evoluzione del suo complesso e originale percorso di artista.

Non a caso, l’esposizione di Aosta giunge a completamento delle celebrazioni per il cinquantenario dalla morte di Fornara, aperte lo scorso settembre a Milano con una selezione degli autoritratti e proseguite nella storica Casa de Rodis a Domodossola. Le manifestazioni hanno offerto occasione per una rilettura dell’artista alla luce delle radici della sua pittura, il suo mondo vigezzino in primis, poi il Divisionismo, per concludere con la posizione in bilico negli scenari del Novecento.

La mostra 'Carlo Fornara e il Divisionismo', prima rassegna monografica in Valle d’Aosta dedicata al pittore piemontese, amplia e consolida le conclusioni sin qui acquisite. L’esposizione è focalizzata sui due decenni cruciali della parabola di Fornara, l’ultimo dell’Ottocento e il primo del Novecento, ed esamina la stagione più intensa della sua produzione, in parallelo alla genesi e all’apice del Divisionismo in Italia.

Il periodo simbolista di Fornara, oltre al capolavoro 'L’Aquilone', è qui rappresentato da 'La leggenda alpina' e da due studi a olio testimoni dell’evolversi dell’immagine, mentre nella sezione dei disegni, alcuni fogli di grande formato, quali quello per il manifesto stradale del Sempione e 'Allegoria dei monti', raccontano di un’esperienza che più tardi l’autore preferì occultare.

Chiusa la parentesi simbolista, il primo decennio del Novecento è segnato da una ricerca di obiettività verso la natura, spoglia dell’espressionismo che aveva dominato le stagioni tra la fine dell’apprendistato vigezzino e la maturazione divisionista che, con En plein air, anticipa di alcuni mesi l’incontro con Segantini. Sono anni dedicati alla sua terra, fonte iconografica primaria, la Val Vigezzo, a cui prova a ridare volto in una sintesi di lente elaborazioni che nasce, come in Angelo Morbelli, da scatti fotografici e numerosi studi. A riprova si sono voluti esporre anche dipinti meno sviluppati come Il grano saraceno in fiore.

Rare sono le esplorazioni di Fornara fuori dal proprio mondo. La trilogia di Valle Maggia, nella vicina Svizzera, frutto del soggiorno del 1908, presentata in mostra, testimonia una ricerca mirata a un assoluto naturalismo, in cui le modifiche tecniche apprese da Segantini nell’estate 1898 sono mirate a una visione realista che per nulla rimanda al panteismo del maestro.

Come si evidenzia dal breve carteggio con Pellizza da Volpedo e dalle lettere di Morbelli, Carlo Fornara, malgrado anagraficamente più giovane, fu un Divisionista della prima ora. La sua tecnica rivela un’empirica divisione del tono, anteriore al fondamentale incontro con Segantini per il 'Panorama di Saint-Moritz'. Dopo di che, l’uso dei colori puri o semi-puri e delle pennellate giustapposte si arricchisce con la pratica segantiniana dell’aggiunta di metalli, oro e argento fusi all’impasto fresco, per ottenere barlumi che accentrino la luminosità dell’ambiente. La mostra ambisce a far comprendere tale evoluzione operativa e il legame con l’iconografia che la giustifica.

Sempre a proposito dello studio sulla tecnica e sul modus operandi di Fornara, la mostra segna un passo avanti anche dal punto di vista delle indagini scientifiche: il complesso modus di Fornara era infatti rimasto unico fra quelli dei colleghi divisionisti a non essere stato oggetto di una diagnostica completa, sino ad oggi.

Grazie alla collaborazione e al sostegno della Direzione Artistica di Banca Patrimoni Sella & C., che da circa due anni porta avanti un progetto di studio diagnostico di artisti italiani fra il XVI e il XIX secolo, la mostra di Aosta ha dato l’occasione per l’analisi di cinque opere chiave: 'Le lavandaie', 'L’Aquilone', 'Chiara pace', 'Luce e ombre', 'Fine d’autunno in Valle Maggia'.

Il rilevamento dei dati diagnostici è stato affidato a Thierry Radelet, esperto di fama internazionale, e i risultati sono presentati in un apposito apparato del catalogo della mostra, che vuole così essere anche il punto di partenza per futuri approfondimenti scientifici e studi comparativi. Completa il catalogo un contributo di Filippo Timo che indaga e ricostruisce la storia della partecipazione di Carlo Fornara alla Biennale di Venezia, anche grazie al reperimento di materiali d’archivio inediti.

L’itinerario espositivo del Museo Archeologico Regionale di Aosta si apre con l’autoritratto, perché per Fornara, formato alla professione di ritrattista alla Scuola Rossetti Valentini di Santa Maria Maggiore e per indole portato all’introspezione, il proprio volto, con il mutare nel tempo, è rimasto fonte imprescindibile d’ispirazione. E si conclude con una sala dedicata agli esiti della diagnostica. È stato possibile includere una cospicua sezione di opere su carta, per offrire una visione più ampia della grafica, con chine, anteriori al 1900, e disegni. Tale scelta consente di illustrare la storia di un artista convinto che il disegno fosse il nerbo del dipinto e che, lungo tutto l’arco di una lunga vita, è rimasto instancabile disegnatore.

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