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Da fidi multipli a tempistiche, economisti divisi su bad bank light

27 gennaio 2016 | 15.54
LETTURA: 5 minuti

Da fidi multipli a tempistiche, economisti divisi su bad bank light

di Vittoria Vimercati

Dalla questione dei fidi frazionati alle garanzie collaterali di alcuni crediti deteriorati, passando per le tempistiche incerte e 'l'effetto stigma'. Andando a fondo, l'intesa raggiunta per gestire i crediti deteriorati delle banche italiane solleva pareri contrastanti tra gli economisti. Alcuni, interpellati dall'Adnkronos, discutono degli effetti che la soluzione a cui si è giunti dopo mesi di trattative con Bruxelles, ossia una bad bank 'leggera' e non più sistemica (veicoli aziendali che collocheranno sul mercato i prestiti cartolarizzati), avrà sull'economia italiana.

"Qualsiasi cosa si faccia ormai va bene, i governi passati non hanno affrontato il dossier quando era più opportuno farlo e si è perso troppo tempo. Ma con questo rimedio si perde l'aspetto dell'economia di scala", è il parere di Carlo Milani, economista indipendente e docente di corporate e investment banking all'Università degli Studi Roma Tre. "Il punto - spiega - è che molte pmi italiane hanno fidi e posizione aperte con più banche: sarebbe stato più semplice valorizzare la loro impresa o il loro 'debito' con una soluzione unica".

In generale, secondo il professore, avrebbe avuto più senso "creare un veicolo più grande, capace di intermediare miliardi di euro e non milioni, con un potere contrattuale più forte per cedere sul mercato i titoli cartolarizzati, anche con costi di gestione più bassi". Nel caso specifico dei piccoli imprenditori, facendo singole, 'mini' bad bank, può succedere di non riuscire a unire i crediti di una stessa impresa: "In questo modo - sottolinea - sarebbe stato più facile rinegoziare il debito, concederne di nuovi e magari riportare l'azienda in bonis da una situazione di default".

E' di tutt'altro avviso, invece, Alessandro Carretta, ordinario di economia degli intermediari finanziari all'Università Tor Vergata di Roma, per cui la 'soluzione leggera' è quella giusta e più congeniale ai tempi. "La bad bank sistemica è impegnativa, pesante, estranea allo scenario attuale. Si pensi a quella inglese, che conta 1.900 dipendenti. Così come la si è studiata, invece, è più efficace proprio per il suo ruolo temporaneo", dice.

La mini bad bank, secondo il professore, potrebbe sveltire le procedure, ma a patto che l'economia riprenda la sua marcia consentendo ai valori dei crediti di risalire. E, soprattutto, a patto che si trovi "il giusto equilibrio" nel prezzo della loro cessione. Il tema del frazionamento dei fidi, a sua volta, non dovrebbe destare troppe preoccupazioni: "E' vero - spiega Carretta - che nel sistema italiano c'è questa logica, però anche nel caso di pmi, ormai da molti anni, c'è spesso una banca sola che ha la maggior parte del portafoglio".

Il docente ha fiducia nell'interesse potenziale di fondi e investitori specializzati. "Con questi prezzi e' una scommessa vincente", ritiene. Del resto, "questi asset non sono crediti tossici, riferiti a mercati immobiliari gonfiati, come è stato il caso americano: sono crediti di piccole medie imprese che, tutto sommato, se l'economia ripartisse e le procedure di recupero crediti in Italia funzionassero meglio, aumenterebbero senz'altro il loro valore di mercato".

Un effetto svantaggioso di cui bisogna tenere conto è il cosiddetto effetto 'Stigma'. Andrea Resti, docente di gestione dei rischi nelle banche e private banking all'Università Bocconi di Milano, lo sintetizza così: "Se una banca ha bisogno di aiuto e questo aiuto avviene su base individuale e non collettiva, quella banca rinuncia a chiederlo per paura che clienti e mercato possano schedarla come struttura potenzialmente a rischio".

Ossia, spiega ancora, "se hai avuto bisogno di quello strumento, non mi fido più di te. Del resto, le banche sulla fiducia vivono e sulla fiducia muoiono".

L'idea di creare più veicoli, tuttavia, ha qualche vantaggio. "Il ricorso a una società sola per la gestione dei crediti avrebbe - riconosce Resti - standardizzato le procedure, però, d'altra parte, mi sembra apprezzabile che gli investitori possano scegliere in quale veicolo investire, premiando le banche gestite bene, penalizzando le banche gestite male". Insomma, "non si stenderà una coperta sul settore, ma sarà possibile premiare le istituzioni vestite meglio e punire quelle vestite peggio".

Quanto al tema degli effetti sugli istituti e delle potenziali, ulteriori, svalutazioni del capitale, secondo Milani, "saranno quasi sicuramente necessarie, le banche dovranno fare ancora un passettino per avvicinarsi al prezzo offerto: però grazie alla garanzia pubblica a prezzi di mercato la distanza non sarà così ampia".

Carretta ha un approccio "più ottimista". Il ricorso a una bad bank leggera "può consentire alle banche di valorizzare nella cessione dei crediti anche quello che in questo momento non è stato ancora valorizzato, e cioè le garanzie implicite contenute in questi crediti: molti, ad esempio, sono dotati di garanzie immobiliari. Con una bad bank light - spiega - si può valutare meglio il valore di queste garanzie collaterali, uno dei punti chiave per capirne la convenienza e rendere meno drammatico il tema della garanzia pubblica".

Per molte banche, tra l'altro, il 2016 sarà un anno chiave: le popolari devono trasformarsi in società per azioni, alcune fondersi cambiando governance, altre (come le venete) quotarsi in Borsa e portare a termine nuovi aumenti di capitale. "Le tempistiche per la creazione di questi nuovi veicoli diventano così più incerte", puntualizza Milani. Discorso che potrebbe non valere, secondo Carretta, "per alcune banche di grandi dimensioni, con una governance rinnovata, ristrutturate al loro interno: se queste adesso riuscissero a cedere le loro sofferenze, proprio non vedrei queste esigenze incredibili di un aumento dimensionale. Questo aspetto è solo un mito, niente altro".

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