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Terre rare

Dalla miniera alla batteria: le terre rare certificate con la blockchain

25 agosto 2021 | 07.19
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Il percorso di Tesla e degli altri produttori di batterie per auto e apparati tecnologici con terre rare certificate, utilizzate in quantità sempre più basse e responsabili.

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La crociata ambientale di Tesla non passa solo dal ban delle criptovalute energivore, ma abbraccia anche la causa delle batterie al litio sostenibili. Un ingrediente irrinunciabile delle batterie delle auto elettriche e di tutti i device elettronici è infatti il cobalto, minerale estratto per la quasi totalità nella Repubblica Democratica del Congo dove le condizioni di lavoro dei minatori non sono regolamentate e spesso si verificano abusi e violazioni dei diritti soprattutto dei minori impiegati per l’estrazione, oltre a costituire una preoccupazione dal punto di vista della sostenibilità ambientale.

Tesla ha appena annunciato di voler affrontare il problema lavorando con un consorzio di produttori di cobalto per sviluppare una piattaforma blockchain per tracciare la materia prima “dalla miniera alla batteria”. L’obiettivo della piattaforma è quello di creare “un registro trasparente, aperto e globale” che possa assicurarne la provenienza fino alla singola unità. Il Re|Source Consortium, che fa base proprio nella Repubblica Democratica del Congo, è composto dalla China Molybdenum Co., dall’Eurasian Resources Group e da Glencore. Il pilota della piattaforma dovrebbe partire per la fine di quest’anno, e ci si aspetta una piena operatività per il 2022.

Anche la rivale Ford Motor Company sta lavorando a un progetto simile dallo scorso anno, una corsa al tracciamento del cobalto che, con una sana concorrenza, potrà fare molto per migliorare le condizioni dei lavoratori delle miniere, rendendo responsabili le aziende che utilizzano questo minerale e più consapevoli i consumatori di quello che c’è dietro alle batterie al litio che alimentano dalle auto elettriche agli smartphone.

Elon Musk però già da tempo è alla ricerca di alternative al cobalto, che oltre al problema della sostenibilità solleva anche questioni riguardo alla sua scarsità in natura. Oltre alla promessa di utilizzare batterie che ne contengono la minore quantità possibile (Musk parla di una percentuale intorno al 3%), già un anno fa aveva annunciato una partnership con la Contemporary Amperex Technology per la fornitura nella sua gigafabbrica di Shangai di batterie al fosfato di litio, che non contengono cobalto, e che oltre a non avere traccia del contestato minerale hanno anche costi di produzione inferiori.

Questo mentre Tesla sta affrontando alcune sfide non da poco, che rischiano di comprometterne l’immagine. Da un lato i ritardi continui nelle consegne dei veicoli, soprattutto in California e Florida dove si stanno estendendo a settimane e mesi, causati dalla difficoltà di tenere il passo con la domanda crescente di auto elettriche. Un caos notevole, anche perchè i rivenditori hanno ammesso di non aver ricevuto indicazioni dalla casa madre, e si sono trovati quindi a dover fronteggiare da soli i clienti inferociti senza alcun supporto o previsione da parte di Tesla.

E poi la sconfitta nel “Battery Gate”, una class action che ha costretto Tesla a sborsare un milione e mezzo di dollari per risarcire circa 1800 proprietari delle Model S americane con 625 dollari a testa. Al centro della causa un aggiornamento di software del 2019 che aveva fatto scendere l’autonomia delle batterie delle Model S (uscite di produzione nel 2016) di 30/50 km e aumentato i tempi della “ricarica rapida”. Anche in Norvegia è in corso una causa simile: Tesla è stata giudicata colpevole di aver peggiorato le prestazioni delle sue auto con un aggiornamento, e ora, se non farà ricorso, dovrà pagare 16mila dollari a testa a migliaia di proprietari.

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