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"Dall'Italia decine di jihadisti già indottrinati per combattere nelle fila dell'Is"

17 ottobre 2014 | 14.22
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A rivelarlo ad Aki Fares Tammo, coordinatore generale del Consiglio rivoluzionario curdo: "La maggior parte è originario dei Paesi del Maghreb, ossia italo-marocchini, italo-algerini e italo-libici". E sottolinea: non hanno alcuna esperienza nell'utilizzo delle armi. Pinotti: "In Iraq 280 militari per addestrare curdi, predator e armi"

(Foto Xinhua)
(Foto Xinhua)

"Decine di italiani", tanti italo-marocchini e italo-libici così come italo-algerini, combattono tra le fila dell'organizzazione dello 'Stato islamico' e arrivano al fronte "già indottrinati dal primo giorno", ma senza alcuna esperienza nell'utilizzo delle armi. Appena concluso l'addestramento, però, si dimostrano "entusiasti" di combattere. E' il profilo dei 'jihadisti italiani' che emerge da alcune interviste realizzate da Aki - Adnkronos International.

"La presenza di italiani tra le fila dell'organizzazione dello Stato islamico (Is) è certa. Vi sono combattenti dall'Italia che lottano al fianco dell'Is, questo è un fatto certo e documentato - dice ad Aki Fares Tammo, coordinatore generale del Consiglio rivoluzionario curdo, ala militare dell'opposizione al regime di Bashar al Assad - Tutto ciò che sappiamo sono solo numeri, ma non abbiamo nomi". "Posso assicurare che si tratta di decine di persone, e non solo qualche caso isolato, e la maggior parte è originario dei Paesi del Maghreb, ossia italo-marocchini, italo-algerini e italo-libici, un numero inferiore sono musulmani asiatici. Tutti - prosegue - arrivano già indottrinati dal primo giorno e quindi non hanno bisogno di formazione ideologica, ma piuttosto di formazione all'uso delle armi".

Questa formazione "dura una o due settimane al massimo, poi vengono spinti in battaglia, ma la questione dei jihadisti europei non ci riguarda e non ci interessa, è un problema europeo - ribadisce Tammo - Parlare dei combattenti europei non avrà alcun effetto sulla nostra lotta". E così sottolinea come "in realtà, non ci interessa il fatto che siano italiani, poiché tutti i miliziani di quell'organizzazione sono nostri nemici, italiani e non".

Saber Bashar, ufficiale di collegamento tra le forze dell'Esercito libero siriano e ufficiali dell'Esl di stanza in Turchia, assicura ad Aki di "aver incontrato almeno tre italiani in circostanze diverse che si erano arruolati con il movimento Ahrar al-Sham e che erano di origine nordafricana, uno forse somalo o marocchino del sud, in quanto di colore". "Erano in possesso dei loro documenti ufficiali, nessuno aveva chiesto loro di liberarsene. Non hanno parlato molto del loro passato - dice Bashar - abbiamo parlato del presente e della lotta per la vittoria dei musulmani, ma dai loro discorsi era chiaro che avevano una conoscenza superficiale dell'Islam. Uno di loro, si comportava in modo irresponsabile: sui vent'anni, algerino, come avevamo capito dalla parlata, era sempre nervoso e diceva che non voleva tornare e che se fosse stato costretto sarebbe tornato nel suo Paese e non in Europa".

Secondo Bashar, "il loro obiettivo non era il denaro: il movimento gli passava dai 200 ai 300 dollari al mese oltre a vitto, alloggio e tutto ciò di cui avessero bisogno. Erano entusiasti di combattere. Uno di loro non l'ho più rivisto: forse se ne è andato con altre brigate o con l'Is, che li lusinga di più, o forse è morto, non posso saperlo. Ora, dopo la morte dei comandanti degli Ahrar al-Sham, molti combattenti sono passati con l'Is e il Fronte al-Nusra, e sicuramente i combattenti stranieri sono stati i primi a farlo".

Dal canto suo Ayham Barakat, ex colonnello delle forze armate siriane e ora comandante dell'Esercito siriano libero nel sud della Siria, spiega via skype ad Aki che "nel sud della Siria non vi è presenza tangibile di europei. Vi sono casi isolati e individuali e, in generale, vi è una percentuale di combattenti arabi tra le fila del Fronte al-Nusra di varie nazionalità, la maggior parte dai Paesi del Golfo". Barakat sottolinea che "le brigate rivoluzionarie non sono in coordinamento" con il Fronte al-Nusra. "Ma tra di esse vi è un'intesa di massima e se insorgono divergenze tutti cercano di risolverle. Questi - precisa - sono meno estremisti dei combattenti dell'Is, che ancora non è presente nel sud della Siria, dove non c'è un ambiente che li accolga" benché "se il regime siriano dovesse facilitarne l'ingresso, allora entrerebbe e inizierebbe così un nuovo capitolo della nostra tragedia".

Quanto ai numeri, "la percentuale di combattenti non siriani tra le fila Fronte al-Nusra nel sud della Siria, ossia Daraa, Quneitra e il Golan, si aggira attorno al 5% al massimo, che in proporzione a tutti i combattenti delle forze rivoluzionarie fa meno dell'1%. Di conseguenza - prosegue - la loro influenza è limitata. Benché non siano privi di risorse economiche e di armi, non combattono per questo. Hanno fonti di finanziamento e di armi di cui non abbiamo conoscenza". "Vi sono combattenti dall'Arabia Saudita, dal Kuwait e dagli Emirati, ve ne sono dalla Tunisia, dalla Libia e dall'Algeria, e riteniamo che alcuni dei combattenti dai Paesi del Maghreb abbiamo cittadinanze europee, ma non lo mostrano e non ne fanno pubblicità. Noi non abbiamo i loro passaporti per poter distinguere da dove provengono", afferma il comandante, che poi ricorda di "essersi imbattuto in un francese di origine algerina e in un tedesco di origine tunisina, ma nessun italiano".

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