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Domani in Cassazione il verdetto su delitto via Poma, Busco attenderà in casa

25 febbraio 2014 | 12.40
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Domani in Cassazione il verdetto su delitto via Poma, Busco attenderà in casa

Il delitto di via Poma arriva domani in Cassazione a distanza di 24 anni dai fatti. I giudici della Prima sezione penale presieduti da Umberto Giordano dovranno decidere se confermare l'assoluzione "per non aver commesso il fatto" accordata in appello a Raniero Busco, l'ex fidanzato di Simonetta Cesaroni massacrata in via Poma a Roma con 29 coltellate, il 7 agosto 1990. Raniero Busco domani non sarà presente in aula. Attenderà il verdetto - forse l'ultimo salvo rinvii da parte della Cassazione in accoglimento del ricorso della Procura di Roma - a casa insieme alla moglie Roberta e ai figli. Busco, a quanto si apprende, attende fiducioso la decisione della Cassazione anche se non nasconde il "dispiacere" per il fatto che il processo non si sia chiuso in appello "data la sentenza ben motivata".

Domani mattina, i cinque giudici della Prima sezione penale (oltre al presidente Giordano ci saranno Angela Tardio, Aldo Cavallo, Piera Maria Caprioglio, Giacomo Rocchi, che terrà la relazione dei fatti) dovranno decidere se confermare o meno la sentenza di assoluzione della Corte d'assise d'appello di Roma del 24 aprile 2012 che ha ribaltato la sentenza di primo grado. La Corte d'assise della capitale, il 26 gennaio 2011, aveva condannato Busco a 24 anni. Il sostituto procuratore generale di piazza Cavour che terrà la requisitoria sarà Francesco Salzano. Nella stessa mattinata, gli 'ermellini' dovranno esaminare sedici ricorsi in tutto.

Il procuratore di Roma, Alberto Cozzella, in Cassazione, contesta soprattutto gli esiti della perizia disposta dai giudici e decisiva nel processo d'appello; si ritiene che i ragionamenti dei periti siano stati volti ad azzerare tutto ciò che i consulenti della procura avevano fatto nel giudizio di primo grado. La contestazione della sentenza assolutoria d'appello, secondo l'accusa, sarebbe motivata con il fatto che la stessa si fonda sugli esiti di una perizia le cui contraddizioni "a cascata" cadono sull'atto conclusivo del processo di secondo grado.

IL DELITTO - E' il 7 agosto del '90 quando in via Poma, a Roma, viene uccisa con 29 colpi di tagliacarte Simonetta Cesaroni, 21 anni. L'autopsia accerterà che la sua morte è avvenuta tra le 17.30 e le 18.30. Il suo corpo viene ritrovato dalla sorella Paola, che, preoccupata, si reca nell'ufficio insieme al fidanzato Salvatore Baroni e al datore di lavoro di Simonetta. La ragazza ha subito 29 colpi di tagliacarte, tutte profonde circa 11 centimetri. Alcune sono mirate al cuore, alla giugulare e alla carotide. Ad ucciderla, un trauma alla testa. Il processo a carico di Raniero Busco, all'epoca dei fatti fidanzato di Simonetta, inizia vent'anni dopo, il 3 febbraio del 2010, davanti ai giudici della terza Corte d'Assise di Roma. Sul banco dei testimoni non c'è Pietrino Vanacore, portiere dell'edificio di via Poma. Vanacore si è ucciso il 9 marzo 2010, tre giorni prima della deposizione in aula.

LA 'PROVA' DEL MORSO - Tutto ruota attorno a questo particolare: la Corte di merito ha ritenuto fondati i rilievi sollevati dai consulenti nominati dalla corte stessa, gli autori della superperizia secondo la quale il segno sul seno sinistro di Simonetta, considerato in primo grado la 'firma' dell'assassino, il segno della dentatura anomala di Busco, non era in realtà un morso.

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