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Doris, dall'infanzia povera al top della finanza: il suo inno all'ottimismo in 'C'è anche domani' - Foto

25 novembre 2021 | 18.46
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Ennio Doris (Fotogramma)
Ennio Doris (Fotogramma)

"Mio padre me lo aveva insegnato. Mi aveva insegnato a non perdermi d'animo, soprattutto di fronte alle difficoltà, e di difficoltà stavolta ne avremmo dovute affrontare tante. Me lo aveva spiegato, mi aveva fatto comprendere che finché c'è vita ci sarà sempre anche un domani, a condizione di essere pronti e preparati". E' l'8 settembre del 2008 quando nel suo ufficio Ennio Doris (Fotogallery) riceve una telefonata urgente. E' quella di Vittorio Gaudio, responsabile degli investimenti della banca: "Circolano voci di un possibile fallimento di una grossa banca d'affari americana. A mio avviso ci sono parecchie responsabilità che queste voci non siano infondate, forse dovremmo prepararci al peggio...".

Ed è proprio in quel momento in cui sta per abbattersi la bufera sui mercati e bisogna prepararsi al peggio, che Doris fa tesoro di quella lezione paterna: "Sarebbe passata anche quella. Ne ero certo. Stavolta come tutte le altre. Dopo la tempesta, come sempre sarebbe tornato il sereno, prima o poi, perché è così che funziona la vita del mondo e quella di ciascuno di noi". E' dal ricordo e dallo stato d'animo di quella giornata di settembre di 13 anni fa che si snoda il racconto autobiografico del fondatore di Banca Mediolanum 'C'è anche un domani', scritto in collaborazione con Leopoldo Gasbarro.

Nel libro, che è la narrazione di una vita, dall'infanzia povera e felice a Tombolo nel padovano, e, insieme, è una business story, rimangono fermi i valori fondamentali: la famiglia, l'onestà, la trasparenza, la libertà, la centralità della persona. E, soprattutto, l'ottimismo e la forza di alzare lo sguardo oltre le difficoltà del momento.

E c'è un giorno preciso dove tutto questo prende corpo, dove le parole del padre diventano la stella polare di Doris. E' il 30 maggio del 1953, giorno in cui si corre un'importantissima frazione del giro d'Italia sulle Dolomiti, quella che da Auronzo di Cadore avrebbe portato la carovana rosa a Bolzano. Doris con il padre segue la corsa nel bar di Tombolo. Il padrone del giro è lo svizzero Hugo Koblet. A tenergli testa è Fausto Coppi mentre Gino Bartali è fuori dai giochi e, nell'Italia divisa tra Coppi e Bartali, i sostenitori di quest'ultimo tifano per lo svizzero.

Sul Sella, racconta Doris, sembra fatta per Coppi e già cominciano i festeggiamenti. Ma non finisce qui: Koblet rimonta e raggiunge Coppi al traguardo. Coppi vince la tappa ma lo svizzero mantiene la maglia rosa. La delusione è cocente: "camminammo soli per strada, mio padre e io. Ero senza parole, privo dell'entusiasmo che mi aveva accompagnato nell'attesa di quella giornata. Papà si fermò all'improvviso. Si voltò verso di me e mi guardò dritto negli occhi" per poi dirgli: "Ennio ricordati che c'è anche domani. C'è anche domani".

Parole che per Doris "furono un inno all'ottimismo, mi indicarono la strada da percorrere, mi insegnarono a guardare avanti con sicurezza e fiducia in qualunque circostanza. Fu la lezione più importante che mio padre potesse impartirmi". Domani era il 31 maggio del 1953, "Coppi compì l'ennesima impresa, nella tappa da Bolzano a Bormio" staccando Koblet e volando da solo verso il traguardo. Coppi si aggiudicava la maglia rosa e vinceva il giro d'Italia. "Io compresi che c'è davvero anche domani", scrive Doris.

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