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Ebola: nessun contagio per giovane italiana a Istanbul

26 agosto 2014 | 13.56
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Si sono conclusi i test clinici sulla giovane modenese a Istanbul: niente malaria "e nemmeno il temuto virus Ebola. Quindi si tratta ora di organizzare il rientro dei due ragazzi, in collaborazione con il Consolato Italiano, che ha dato loro assistenza e supporto nei giorni scorsi, a cui va un sentito ringraziamento". Lo comunica in una nota l'Arcidiocesi di Modena-Nonantola, che rivolge "un grande ringraziamento anche ai Padri Salesiani di Istanbul, che si sono occupati dei giovani viaggiatori". La giovane stava rientrando in Italia dopo una missione in Ciad, e aveva fatto scalo prima in Nigeria e poi in Turchia dove è stata trattenuta per accertamenti. Gli esami sono stati fatti anche a un compagno in viaggio con lei.

"La partecipazione a questi campi, libera, scelta dai giovani, preparata nel corso dell'anno precedente, supportata ed accompagnata da persone con esperienza, permette ai giovani l'incontro e lo scambio, ed è un'esperienza che, come raccontano ogni volta i giovani al ritorno, arricchisce il visitatore e le comunità che accolgono, una vera esperienza formativa, che per molti ragazzi si trasforma poi in uno stimolo all'impegno quotidiano nei luoghi in cui vivono", ricorda l'Arcidiocesi, che illustra il senso del viaggio riportando le parole di uno dei partecipanti: "So che scrivere due righe a caldo è sempre un rischio. Però mi dispiacerebbe anche che questa bufera diplomatica-mediatica mi facesse dimenticare, o anche solo mettere da parte, quello che questo viaggio è stato veramente".

"C'è una parola in francese 'brassage', che non conosce traduzione letterale in italiano; ma per farci capire il senso, i ciaddiani stringevano le mani intrecciando le dita fra loro ed allora ci era chiaro: eravamo lì per mischiarci, per legarci, per farci coinvolgere - racconta - Quindi ci abbiamo provato, grazie ad un'irripetibile opportunità che ci è stata data: vivere ventiquattro ore al giorno insieme a loro, come loro".

"Dormire nei locali dove spesso vengono ospitati i profughi del non lontano Darfur ci ha fatto pensare alle nostre comode camere da letto; cucinare e mangiare cinque varietà di cibo differente in quattro settimane ci ha ricordato l'abbondanza sulle nostre tavole; centellinare l'acqua nel secchio per fare la doccia ci ha ricordato le vasche da bagno. E sì, ci siamo anche ammalati. Ma non c'è stato un attimo in cui abbiamo pensato 'che sfortunati che siamo!"', racconta.

"Piuttosto - dice - abbiamo ringraziato per l'ennesima volta Dio, che per l'ennesima volta ci dava la possibilità di vivere dignitosamente anche nella malattia, grazie ai soldi che ci permettevano di pagare le cure. Per ora quello che sappiamo fare è ripetere questo grazie, consapevoli che non basterà mai. E cercare di non dimenticare la gioia delle comunità in festa, dei corpi che danzano, delle voci che sempre ci hanno detto 'ça va aller, on est ensemble!' Andrà tutto bene, siamo insieme!'. Senza polemiche, senza accuse al nostro mondo, ma grati a chi ci ha concesso di partire e di tornare così ricchi", conclude.

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