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Ecco il Tetraquark, la nuova particella scoperta al Cern

01 luglio 2020 | 22.01
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(Immagine di repertorio - Fotogramma)
(Immagine di repertorio - Fotogramma)

Al Cern di Ginevra scoperta una nuova particella: è il Tetraquark, un elemento chiave per comprendere la forza che tiene insieme i componenti dei nuclei degli atomi. La collaborazione internazionale dell'esperimento LHCb che opera all'acceleratore LHC del Cern ha pubblicato oggi uno studio su arXiv che riporta la prima osservazione di una particella composta da quattro quark charm. Il risultato costituisce un importante passo avanti nella comprensione di come i quark si legano tramite interazioni nucleari forti all’interno di particelle composte, note come adroni, alla cui famiglia appartengono anche i protoni e i neutroni, costituenti dei nuclei atomici.

Nei casi comuni, i quark si legano in coppie (mesoni) o tripletti (barioni), ma l’esistenza di particelle più complesse costituite da quattro quark (tetraquark), cinque quark (pentaquark) o più non è, in linea di principio, proibita dalla teoria, sebbene siano stati necessari decenni di ricerche per poterne identificare pochi esempi.

L’esperimento LHCb aveva già confermato l’esistenza di queste particelle “esotiche” e osservato per la prima volta nel 2015 un pentaquark. Questa classe di particelle costituisce un campo di ricerca ideale per comprendere più a fondo il funzionamento della forza nucleare forte, l’interazione fondamentale che tiene assieme i nuclei degli atomi.

“Particelle fatte da quattro o più quark sono note già da tempo e sono comunemente definite esotiche”, spiega Giovanni Passaleva, responsabile internazionale di LHCb. “Quella che abbiamo scoperto ora con i dati del nostro esperimento è tuttavia speciale perché è composta da quattro quark pesanti, due quark charm e due quark anticharm, rappresentando un banco di prova privilegiato per lo sviluppo di modelli teorici delle interazioni forti”, conclude Passaleva.

Il risultato ha visto un ruolo assolutamente centrale del gruppo Infn di Firenze, che ha avuto sin dall’inizio la responsabilità di portare avanti l’analisi dei dati in tutti i suoi dettagli.

“Questo lavoro nasce da una collaborazione fra la Sezione Infn di Firenze e l’Università Tsinghua di Pechino, e ha avuto come protagonista una giovane ricercatrice cinese, Liupan An, che ha scelto il nostro gruppo per una specializzazione post-dottorato, grazie a una borsa di studio bandita dall'Infn”, racconta Giacomo Graziani, ricercatore dell’Infn di Firenze e responsabile del gruppo locale LHCb. “Si parla spesso di fuga di cervelli, ma in questo caso la nostra ricerca ha saputo attrarre dall’estero una brillante ricercatrice”.

“La misura delle proprietà della nuova particella consentirà di progredire nella comprensione delle interazioni forti, la cui teoria, la cromodinamica quantistica, è caratterizzata da equazioni estremamente difficili da risolvere quando i quark sono legati all’interno delle particelle, rendendo molto difficoltoso predirne esistenza e caratteristiche”, spiega Liupan An. “L’esistenza della particella – prosegue Liupan An – è stata appurata con un’elevata probabilità statistica, a più di 5 sigma, come si dice in gergo tecnico. Un puzzle ancora da risolvere riguarda la natura di questo tipo di particelle, in particolare se vanno intese come sistemi di quark strettamente legati tra di loro, oppure se hanno una struttura più simile a delle molecole”.

La collaborazione LHCb è arrivata a individuare l’esistenza di questa nuova particella analizzando tutta la grande mole di dati acquisiti dal proprio rivelatore nell’arco di svariati anni e prodotti dalle collisioni tra protoni ultra-energetici accelerati da LHC. “L’Infn è uno dei maggiori contributori al progetto, alla costruzione e alle operazioni del rivelatore, contando nella collaborazione più di un centinaio di ricercatori, tecnologi e tecnici”, aggiunge Vincenzo Vagnoni, ricercatore dell’Infn di Bologna e responsabile nazionale dell’esperimento LHCb.

“Il nostro rivelatore sta ora subendo un’ulteriore trasformazione che lo condurrà a raggiungere nuovi traguardi nel futuro decennio, con potenziamenti che consentiranno di acquisire una quantità di dati molto maggiore rispetto a quanto sia stato possibile fino ad ora”, conclude Matteo Palutan, ricercatore Infn dei Laboratori Nazionali di Frascati e vice-responsabile internazionale di LHCb.

La nuova e inattesa scoperta aumenterà l’intensità degli studi teorici nel settore. Grazie ai miglioramenti del rivelatore, la collaborazione LHCb potrà portare nei prossimi anni ulteriori contributi alla ricerca in fisica fondamentale per migliorare la nostra conoscenza del mondo dell’infinitamente piccolo.

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