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Etiopia, Puddu (univ.Federico II): ''Caduta Addis Abeba non è imminente''

05 novembre 2021 | 15.57
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La crisi in Etiopia, innescata dal conflitto in Tigray, nasca da uno scontro di potere fra due visioni opposte del paese, una panetiopica e l'altra etnico federalista. "Vedo difficile l'ipotesi di un cessate il fuoco, per ora le due parti puntano a prevalere militarmente".

Luca Puddu
Luca Puddu

Con la conquista di Dessié e Kombolcha "le forze tigrine hanno incassato una importante vittoria, ma questo non significa un'imminente caduta di Addis Abeba". A dirlo è Luca Puddu, ricercatore dell'Università Federico II, che spiega all'Adnkronos come la crisi in Etiopia, innescata dal conflitto in Tigray, nasca da uno scontro di potere fra due visioni opposte del paese, una panetiopica e l'altra etnico federalista. Le sue parole arrivano mentre i ribelli del Fronte Popolare del Tigray (Tplf), alleati con l'Oromo liberation Army (Ola), sono avanzati militarmente nella regione di Amhara e minacciano la capitale, dove il governo ha invitato la popolazione a mobilitarsi per la difesa.

Non penso che la caduta di Addis Abeba sia "imminente, perché Dessiè e Kombolcha sono a centinaia di chilometri dalla capitale. La presenza di ribelli nei dintorni di Addis Abeba deve essere ricondotta soprattutto all'Ola, la cui consistenza numerica e capacità combattiva è marcatamente inferiore a quella delle forze tigrine", spiega Puddu.

"Il rischio principale, al momento, non è di un ingresso di forze tigrine nella capitale, eventualità che probabilmente gli stessi tigrini vogliono evitare, in quanto vi sarebbe la possibilità di una sollevazione e dunque di dover ingaggiare una pesante guerriglia urbana. Probabilmente - ragiona Puddu - l'auspicio delle forze tigrine è quello di utilizzare Kombolcha come punto di partenza per andare a conquistare Millé, cittadina nella regione di Afar, da cui transita l'autostrada A1, attraverso cui giungono i rifornimenti di cibo e carburante ad Addis Abeba, in modo da porre la capitale in una sorta di assedio".

Ma "Millé non è stata ancora conquistata", puntualizza il ricercatore, ricordando che "più le forze tigrine si addentrano verso Addis Abeba, più si allunga la catena logistica" per i ribelli. Ed è di ieri la notizia "della cattura da parte di milizie Amhara di un rinomato generale tigrino a Dessié, questo dà l'idea di come la situazione sia ancora molto fluida".

Il conflitto in Tigray, che ora si è esteso, è cominciato con l'offensiva governativa del 4 novembre 2020 contro il Tigray, dopo un attacco del Tplf ad una base militare a Makallé, capoluogo di questa regione settentrionale dell'Etiopia. Ed è un conflitto, spiega Puddu, che "originariamente nasce da uno scontro fra gruppi di potere all'interno della coalizione che fino al 2018 aveva governato Etiopia". "Da un lato c'è il gruppo di potere tigrino (Tplf) e dall'altro due partiti della ex coalizione di governo, ovvero il partito Oromo (di cui è espressione Abiy Ahmed, premier dall'aprile 2018) e il partito Amhara di cui è espressione il ministro degli Esteri Demeke Mekonnen".

Nel corso del 2019, Abiy Ahmed ha cercato di rimodulare la coalizione di partiti su scala etnica, che aveva finora governato l'Etiopia, "trasformandola in un unico partito su scala nazionale, il Partito della Prosperità. Questa mossa - rimarca Puddu - è stata percepita dai tigrini come un tentativo di sabotare il federalismo etnico e di procedere alla loro marginalizzazione dalle stanze del potere, dopo che erano stati forza egemonica fino al 2018".

"Il conflitto del novembre 2020 - continua Puddu - nasce come scontro fra questi due gruppi potere, a seguito del tentativo del Tplf di ritirarsi da Addis Abeba, consolidando le proprie posizioni nello stato regionale del Tigray. Qui il Tplf ha iniziato a comportarsi come una sorta di stato nello stato, mantenendo una fortissima autonomia da Addis Abeba e resistendo, anche con la forza, ai tentativi di arrestare alti ufficiali del Tplf accusati di corruzione e violazione dei diritti umani". "Semplificando, il conflitto del novembre 2020 nasce anche come un tentativo dell'amministrazione federale di riaffermare pienamente la propria autorità sulla regione ribelle del nord".

"Oggi il conflitto oggi può essere letto come uno scontro fra due visioni diverse del'Etiopia: una impersonificata dalle forze tigrine, che sostiene il mantenimento dell'architettura etnico federale vigente, la forte autonomia degli stati regionali su base etnica. E un'altra impersonificata dall'amministrazione federale, dal partito della Prosperità, che sostiene il ritorno ad una forma di governo più centralizzata su Addis Abeba, il superamento della doppia identità su base etnica, il ritorno ad una identità pan etiopica".

Al momento le due parti sembrano "graniticamente" contrarie a negoziati, come viene invece auspicato dalla comunità internazionale, e puntano ciascuna a prevalere dal punto di vista militare. "Sinceramente -afferma Puddu - vedo difficile l'ipotesi di un cessate il fuoco, è più probabile che le operazioni militari proseguano fino a quando una delle due parti sia in grado di imporre la propria volontà sull'altra".

Abiy Ahmed ancora popolare ad Addis Abeba

"Sicuramente la presa di Dessié e Kombolcha è stata un successo importante per le forze tigrine, ma al momento non sembra essere un elemento decisivo poiché sia il governo federale che il governo regionale Amhara hanno dichiarato lo stato di emergenza e la mobilitazione generale della popolazione, con il chiaro intento di continuare i combattimenti", nota Puddu.

Per chiarire il quadro va ricordato che la forte popolarità di cui ha goduto Abiy Ahmed dopo il suo insediamento, si è sicuramente "ridimensionata" a livello internazionale, ma anche a livello interno. Tuttavia Puddu fa notare che "il disegno pan etiopico, di cui Abiy Ahmed si fa esponente, fa molta presa nei grandi centri urbani e in particolare ad Addis Abeba". Il premier può inoltre "contare su una base molto consistente in alcune zone dell'Oromia, in particolare nel sud ovest di Gimma da cui proviene", mentre in Amhara, "il fortissimo consenso di cui godeva, si è ridimensionato negli ultimi mesi a seguito delle alterne vicende militari".

Infine, sottolinea, "non è certo che la sconfitta di una parte implichi la fine delle ostilità di tutte le forze coinvolte nel conflitto". Vi sono due fronti opposti, ma in realtà "gli attori militari sono quattro". Sul fronte dei ribelli è stata annunciata la costituzione di un alleanza di nove fazioni. Le principali sono il Tplf e l'Ola, ma la loro è "un alleanza tattica" e non bisogna dimenticare che fino al 2018 il governo a guida tigrina considerava l'Ola un movimento terrorista. Dall'altra parte vediamo combattere insieme le forze del governo federale, del governo regionale Amhara e delle milizie Fano di etnia amhara. Ma anche qui vi sono divergenze, nota Puddu, concludendo che all'interno dei due fonti troviamo "marcate linee di frizione". (di Maria Cristina Vicario)

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