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Fase 2, donne e giovani: chi non è ancora tornato a lavorare

04 maggio 2020 | 15.11
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Anche i lavoratori temporanei e i part time sono rimasti a casa: è quanto emerge da una ricerca che Inps e Inapp

Immagine di repertorio (Fotogramma)
Immagine di repertorio (Fotogramma)

E' composta essenzialmente da donne, giovani, lavoratori temporanei e in part time la platea di quanti non hanno potuto riprendere il lavoro nella Fase due di uscita dal contagio di Coronavirus disegnato dal governo. Un 'esercito' concentrato' essenzialmente nella piccola impresa per i quali ci sono "meno garanzie sotto il profilo del rischio contagio ed una maggiore fragilità nel mercato del lavoro". Al contrario i settori riattivati "presentano modalità lavorative che garantiscono minore rischio di contagio" e corrispondono a lavoratori "più stabili e meglio retribuiti". È quanto emerge da una ricerca che Inps e Inapp hanno congiuntamente condotto allo scopo di evidenziare le differenze individuali e strutturali fra l’insieme dei lavoratori che sono impiegati nei settori essenziali e quelli che operano nei settori ancora bloccati.

In lockdown dunque, stimano ancora Inps e Inapp, restano i segmenti fragili presenti nel mercato del lavoro: le donne, che sono il 56% del totale dei lavoratori bloccati dal 4 maggio, i lavoratori temporanei, il 48%, i lavoratori part time, il 56%, i giovani, il 44%, gli stranieri , il 20%, i lavoratori impiegati presso piccole imprese il 46%. Lavoratori, annota ancora il Report, "che hanno livelli medi dei salari annui e settimanali decisamente inferiori rispetto ai lavoratori dei settori considerati essenziali. Il salario medio annuo in questi ultimi è del 127% più elevato rispetto a quello dei settori bloccati. Se si considera il salario medio settimanale il differenziale è del 43%".

E la forte differenza fra il salario totale annuo e il salario settimanale, si legge ancora, "è spiegata da una instabilità lavorativa decisamente superiore nei settori bloccati, dove il numero medio di settimane lavorate nell’anno è pari a 19 contro le 31 nei settori essenziali". Quanto ai settori economici ancora al palo sono ‘Alloggio e Ristorazione’, con una quota di attività bloccate dell’82%, ‘Attività artistiche e sportive’, totalmente bloccato, e ‘Altre attività di servizi’ (41% di bloccati), "settori che mostrano salari medi annuali, settimanali e settimane lavorate di gran lunga inferiori rispetto ai valori nazionali".

Sotto il profilo della distribuzione territoriale,invece, la quota di occupati in settori riaperti dopo il 4 maggio è maggiore nelle regioni e nelle province del nord, soprattutto nel nord ovest. L’incidenza dei settori essenziali è quindi più elevata proprio nelle regioni che hanno registrato una diffusione più elevata del Covid-19, circostanza che può destare preoccupazione. Per contro, nelle grandi città, dove sono maggiori le preoccupazioni per gli spostamenti lavorativi attraverso i mezzi pubblici, si rileva una incidenza minore dei settori riattivati.

Per quanto concerne gli indici di rischio collegati alle modalità di svolgimento del lavoro, i settori dispensati dal blocco delle attività ,spiega ancora il Rapporto Inps-Inapp, "presentano un livello medio di prossimità fisica nello svolgimento delle mansioni minore rispetto a quello dei settori bloccati, mentre il livello della propensione a lavorare da casa, in smart working, risulta più elevato". Evidenze queste che mostrano come i criteri utilizzati per identificare i settori aperti hanno prodotto una quota di addetti nei comparti riattivati maggiore rispetto al rischio di contagio che il mantenimento delle attività comporta.

"I criteri sottostanti le scelte operate si mostrano improntati alla massima riduzione del rischio di diffusione del virus, compatibilmente con la necessità di mantenere aperti alcuni comparti considerati essenziali", riassume ancora il Rapporto che conclude promuovendo di fatto la scelta del Governo di differenziare l'avvio produttivo: "se da un lato la scelta dei settori che saranno bloccati dopo il 4 maggio coinvolge lavoratori che presentano caratteristiche di maggiore fragilità nel mercato del lavoro, dall’altro tale scelta appare supportata dal fatto che i settori bloccati presentano indici di rischio di contagio più elevati, giustificando la maggiore cautela e attesa prima della riapertura più estesa".

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