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Maria Fida Moro: ''Non so se in via Fani c'erano i Servizi, battere ogni pista''

24 marzo 2014 | 15.39
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Maria Fida Moro: ''Non so se in via Fani c'erano i Servizi, battere ogni pista''

''Non so se in via Fani c'erano davvero uomini dei Servizi segreti, per quel che ho capito ci sarebbero delle prove. Il punto è che ogni pista è possibile e va battuta: perché dovremmo credere sempre e solo alla versione dei brigatisti?''. Maria Fida Moro, figlia maggiore dello statista Dc ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978, commenta così, all'Adnkronos, le ultime rivelazioni di un ispettore di Polizia in pensione, Enrico Rossi, su una lettera anonima scritta dall'uomo che era sul sellino posteriore dell'Honda in via Fani quando fu rapito Aldo Moro.

''La storia del caso Moro va tutta ancora scritta - spiega Maria Fida - e forse ci sono altre presenze sul luogo della strage, oltre a quelle di cui si parla a proposito della moto. Non ho le prove, è un mio convincimento. Ma bisogna cercare ancora e anche per questo solo io, di tutta la mia famiglia, ho firmato per riaprire l'inchiesta. Non voglio fare guerra ai fantasmi ma richiamare le persone alla propria coscienza''.

''Mentre mi dà un dolore allucinante pensare che i miei pensieri più fantasiosi possano poi rivelarsi reali - prosegue la figlia maggiore dell'ex presidente del Consiglio ucciso dalle Br - sottolineo il coraggio dell'ispettore Enrico Rossi, che ha voluto comunicare proprio a me le sue rivelazioni. Apprezzo chi si espone per cercare verità: nel caso Moro l'ipotesi più improbabile potrebbe risultare proprio quella vera. E niente mi stupirà di quello che vedrò succedere in futuro''.

A distanza di 36 anni dall'uccisione di Aldo Moro, ''sono contenta che si arrivi a istituire una commissione d'inchiesta - spiega ancora Maria Fida Moro - del resto c'era un'intenzione in questo senso prima di queste nuove vicende. Vuol dire che nella coscienza collettiva ci si è resi conto che la verità sul caso Moro è ancora lontanissima''.

Nella 'nebulosa' del caso Moro, la figlia maggiore dello statista Dc disegna un'immagine: ''La scatola che contiene tutta la verità sulla morte di mio padre non è stata aperta, ma soltanto socchiusa. Sono convinta che gli stessi brigatisti conoscano solo un pezzo di questa ipotetica verità. Forse, anche a loro insaputa, sono stati usati''. ''Per contribuire a raccontare davvero l'uomo Aldo Moro e la sua storia - anticipa Maria Fida - ho deciso insieme a mio figlio Luca di aprire un sito, www.Morovivonellaverita', che sarà on line a breve''.

Tra i misteri ancora da chiarire, Maria Fida Moro ne indica uno in particolare: ''Le 1.950 lire in monete che furono trovate in tasca a mio padre. Questo forse prova che qualcuno l'ha liberato e poi qualcun altro l'ha ucciso...''.

CONVOCAZIONE ISPETTORE ROSSI - La convocazione al Palazzo di Giustizia da parte della Procura della Repubblica dell'ispettore Rossi è imminente. A Piazzale Clodio si sottolinea intanto che lo scritto anonimo di cui parla Rossi era già noto agli investigatori della capitale fin dal 2012, quando dalla Procura di Torino che l'aveva ricevuto nel 2010 fu trasferito ai magistrati della capitale per motivi di competenza. Le indagini torinesi, infatti, non avrebbero portato a scoprire elementi utili per l'indagine mentre giunsero invece all'identificazione dell'uomo che era alla guida della motocicletta. Ma questi non risultò né legato ai servizi né implicato nel caso Moro.

L'EX PG INFELISI: IN INDAGINI MAI EMERSI AIUTI DAI SERVIZI - ''Per quanto di mia conoscenza sento il dovere di dichiarare che all'esito delle indagini da me condotte su incarico del procuratore della Repubblica dell'epoca Giovanni De Matteo, che si conclusero con numerosi ordini di cattura da me firmati nei confronti di Prospero Gallinari, di Adriana Faranda e di altri brigatisti, non è mai emerso alcun coinvolgimento di presunti aiuti da parte dei Servizi segreti ai brigatisti che idearono ed eseguirono il rapimento di Aldo Moro e l'eccidio della sua scorta''. Così l'ex procuratore generale Luciano Infelisi, che si occupò del caso Moro.

''Neanche negli interrogatori e nei riscontri da me effettuati in tanti anni di impegno specifico nella lotta al terrorismo - aggiunge Infelisi - è mai emersa, non dico una prova, ma neanche un indizio di tale asserito favoreggiamento. Posso ricordare che sul luogo dell'agguato vi era effettivamente un agente della polizia di Stato, che si trovava però casualmente presente, e che non intervenne perché stava accompagnando il figlio a scuola''.

A proposito del rapimento di Aldo Moro, Luciano Infelisi, che attualmente è passato alla professione di avvocato, sottolinea che ''fu effettuato con una precisa tecnica militare da soggetti che hanno dimostrato di non aver certo bisogno di aiuti e favoreggiamenti da parte di alcuno, come risulta dalle loro ampie confessioni''.

''Mi domando - dice ancora Infelisi - che valore può avere avuto una lettera anonima e perché l'ex ispettore della polizia, che non si è mai occupato del caso, abbia deciso a distanza di 35 anni dall'efferato delitto di prospettare una tesi che non ha avuto alcun riscontro. Tutte le strade investigative furono battute da me e dai colleghi che si succedettero, e mai emerse alcunché. Posso concludere che la dietrologia è veramente dura a morire ed è di per sé pericolosa perché annulla la responsabilità dei vari autori, alla ricerca di fantasmi''.

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