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Garlasco, Alberto ha ucciso Chiara perché pericolosa

16 marzo 2015 | 20.01
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Nelle motivazioni dei giudici d'appello di Milano che hanno condannato Alberto Stasi la spiegazione del delitto del 13 agosto 2007. Per la Corte nessun dubbio che l'ex bocconiano "ha brutalmente ucciso la fidanzata" diventata "scomoda" per un motivo rimasto sconosciuto, ma "da eliminare dalla sua vita"

Garlasco, Alberto ha ucciso Chiara perché pericolosa

Colpevole al di la di ogni ragionevole dubbio: Alberto Stasi "ha brutalmente ucciso la fidanzata" Chiara Poggi, "che evidentemente era diventata, per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo 'per bene' e studente 'modello', da tutti concordemente apprezzato". E' con questa motivazione che i giudici di Milano hanno condannato lo scorso 17 dicembre - al termine del processo d'appello 'bis' - l'ex bocconiano a 16 anni di carcere per l'omicidio di Garlasco .

Nelle 140 pagine a firma del collegio della prima sezione della Corte d'Assisse d'Appello, presieduta da Barbara Bellerio, nulla viene tralasciato di quanto accaduto nella villetta di via Pascoli il 13 agosto 2007 a partire dalla telefona con tono "distaccato" fatta al 118 da Alberto quando scopre il corpo senza vita della fidanzata, fino al racconto del viso pallido della vittima che coincide, a dire dei giudici, con il racconto di Stasi aggressore e non con il suo ruolo di Stasi-scopritore.

La sua condotta "non è stata per nulla collaborativa, ma al contrario fuorviante e finalizzata ad allontanare i sospetti dalla sua persona", in tal senso "ha da subito sviato le indagini, ipotizzando un incidente domestico" - Chiara sarebbe scivolata giù per le scale -, poi "è riuscito con abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione, e a fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno (circostanza sempre taciuta da Stasi, ndr), ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto".

Una ricostruzione in cui tutto sembra combaciare: dalla finestra di 23 minuti - Chiara disattiva l'allarme di casa alle 9.12 e Alberto accende il pc di casa alle 9.35 - sufficienti all'allora laureando per uccidere (da via Pascoli a Via Carducci in bici ci vogliono 6-7 minuti, ndr) al numero 42 di scarpe indossate da Alberto che combacia con la taglia dell'assassino - l'individuazione del numero di scarpe, considerata una sorta di "biglietto da visita" del killer, è una "novità assoluta" del processo d'appello 'bis'.

L'assenza delle impronte di Alberto sul pavimento di via Pascoli, la suola immacolata delle sue Lacoste restano la 'prova regina': secondo i periti incaricati di estendere la camminata sperimentale ai primi due gradini della scala su cui fu gettata Chiara - dopo essere stata colpita alla testa (probabilmente con un martello mai più trovato) - la possibilità per l'imputato di non lasciare tracce è vicina allo zero, così come risulta scientificamente quasi impossibile non trovare tracce di sangue sui tappetini dell'auto usata per raggiungere la caserma dei carabinieri.

Se l'analisi delle unghie e dei capelli portano a risultati "contradditori" privi di una conclusione certa, se i presunti graffi visti da alcuni carabinieri (non esiste relazione in merito, ndr) sul braccio di Alberto non hanno particolare rilevanza per i giudici, la scena del crimine mostra "una sorta di 'progressione' criminosa" messa in atto da chi "conosceva quella casa". Chiara ha aperto al suo assassino, una persona nota - "tanto da non preoccuparsi da accoglierlo ancora in pigiama", da cui non si è difesa - indice che "si fidasse di lui e non si aspettasse in alcun modo di venire da lui così brutalmente colpita" -, e in cui la direzione univoca dei colpi alla testa (l'omicidio è durato pochi minuti), è significativa di "un rapporto di intimità scatenante una emotività giustificabile solo tra soggetti che si conoscevano bene". Un "dolo d'impeto, scatenato da quel movente che non è stato possibile accertare" (forse l'aver scoperto i video porno nel pc di Alberto, forse una crisi nel loro rapporto) ma che aveva come "l'esito finale voluto, la morte della vittima".

Le impronte sul dispenser portasapone, nel bagno dove si lava l'assassino, dimostrano che Stasi lo maneggiò "per lavarlo accuratamente"; il fatto che "non ha mai menzionato, tra le biciclette in suo possesso, proprio la bicicletta nera da donna subito collegata al delitto" dimostra la capacità di sviare le indagini, a dire dei giudici. Il non sequestro della bici nera da parte dell'ex maresciallo dei carabinieri Francesco Marchetto "di sicuro non ha giovato alle indagini", quanto ai pedali della bici Umberto Dei Milano "era presente copiosa quantità di Dna di Chiara Poggi, riconducibile a materiale 'altamente cellulato': tali pedali non sono risultati quelli propri di quella tipologia di bicicletta, venduta alla famiglia Stasi con pedali diversi e di serie".

I giudici non dimenticano le "molte criticità" di alcuni accertamenti svolti "riconducibili ad errori e negligenze anche gravi", oltre al fatto che "in molte occasioni" è stato lo stesso Alberto a "indirizzare e ritardare le indagini in modo determinante e a sé favorevole". Se per Alberto non sussistono le aggravanti della crudeltà e dei futili motivi, per i togati "non è meritevole di alcuna attenuante" visto il suo comportamento (la condanna a 24 anni deve essere ridotta di un terzo a causa del rito abbreviato, ndr), mentre la lettura univoca dei dati probatori - suggerita dalla Cassazione - ha portato a individuare in lui, "oltre ogni ragionevole dubbio, l'assassino di Chiara Poggi".

Se lo stesso Stasi nelle sue dichiarazioni in aula ha sostenuto "un vero e proprio accanimento nei suoi confronti", per i giudici di Milano "in realtà la sola vittima di questo processo è Chiara Poggi, uccisa a 25 anni dall'uomo di cui si fidava e a cui voleva bene, che l'ha fatta definitivamente 'scomparire' in fondo alle scale", per questo dovrà risarcire con un milione di euro i genitori e il fratello di Chiara (cifra che tiene conto anche dell'attenzione mediatica suscitata dalla vicenda). Contro la sentenza che l'avvocato Fabio Giarda definisce "una sconfitta per tutti" ricorrerà la difesa di Alberto, mentre l'avvocato di parte civile, Gian Luigi Tizzoni si dice soddisfatto "per delle motivazioni che ci ricompensano di tante cose spiacevoli di questi anni".

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