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L'ex terrorista Ferrandi torna in via De Amicis, tifosi più violenti dei black bloc

07 maggio 2015 | 15.13
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A 38 anni dalla foto simbolo degli 'anni di piombo' l'ex di Prima Linea commenta le contestazioni del corteo No Expo iniziate proprio in quella strada di Milano. Resta l'immagine di una distesa di tute nere abbandonate che sa di commiato . "L a violenza è altro, non è andato in scena nulla di diverso da quanto accade negli stadi". Invita la politica ad ascoltare la disperazione sociale

Mario Ferrandi, ex terrorista di Prima Linea: questa l'immagine simbolo dei black bloc
Mario Ferrandi, ex terrorista di Prima Linea: questa l'immagine simbolo dei black bloc

di Antonietta Ferrante - Dal bianco e nero di una foto diventata un'icona degli 'anni di piombo' ai black bloc: via De Amicis a Milano - 38 anni dopo - mostra un'immagine di commiato. Mario Ferrandi, ex terrorista di Prima Linea, aveva 21 anni quando impugnò la pistola che uccise il poliziotto Antonio Custra. Era il 14 maggio 1977. Lo scorso primo maggio nel corteo No Expo, nello stesso tratto di strada, è iniziata la guerriglia urbana. "L'immagine che mi ha colpito di più - ho seguito la vicenda sui giornali e sul web - è quella distesa di tute, scarpe, fumogeni e martelli. Ci ho visto la fine del Novecento come secolo delle masse", dice all'Adnkronos.

Il riferimento è al libro 'Massa e potere' di Elias Canetti che "descrive, meglio di chiunque altro, l'emozione e la suggestione della manifestazione di piazza. In quella distesa di felpe abbandonate ci ho visto il commiato. Per molti è la continuazione o l'inizio di una stagione nuova di conflitti e disordini, io ho visto la fine di un'epoca". Quando si sono 'spogliati' "dei loro strumenti di offesa hanno come detto addio a un secolo", le loro armi abbandonate "mi sono sembrate la rappresentazione di una rinuncia epocale". Pagato il debito con la giustizia e da anni "molto alla larga" da queste manifestazioni, per Ferrandi "è ovviamente una sublime idiozia spaccare una vetrina a casaccio, però proverei ad andare oltre l'esecrazione rituale".

Esagerato parlare di Milano messa a ferro e fuoco. "Si tratta di incidenti modesti, uno sfogo rabbioso, uno spettacolo, una forma intenzionalmente scandalosa di teatro di strada. Per me - spiega - la violenza è altro: non lanciare bombe carta o imbrattare la vetrina di una banca". Se l'intenzione era rovinare la festa Expo "hanno ottenuto quello che volevano", ma "non è andato in scena nulla di diverso da quanto accade negli stadi italiani". All'annuncio della tessera del tifoso "avvennero incidenti a opera degli ultrà molto più gravi. Se il benpensante preferisce avere l'auto distrutta da un tifoso perché un dimostrante furibondo evoca altri scenari è un discorso diverso. Le tifoserie sono serbatoi di voto, i presunti anarchici non portano consensi".

Il dissenso è cambiato: "solo cinque anni fa - spiega l'ex terrorista Ferrandi oggi impegnato nel sociale - la fascinazione del riot (rivolta, ndr) attirava 30 ragazzi in fondo ai cortei, poi sono diventati 300 e stanno diventando 3mila". Dire sono 'quattro teppistelli' "è negare l'evidenza. I giovani - il ragazzo 'crocifisso' in tv per la sua ingenuità, ha la stessa età che avevo io allora - sono attratti dal riot come luogo di espressione di una disperazione sociale che non trova canali". La piazza 'No Expo' raccoglie "la delusione per un evento corrotto che non ha avuto ricadute, neanche occupazionali, preziose in questo momento" ma è anche la protesta "contro le politiche di austerità, per il diritto al lavoro che non può essere pagato come una 'mancetta' condita di illusioni".

La ricerca di equità: "porta a cercare di imporre la propria presenza al tavolo di chi decide e non va vista come una minaccia, ma una risorsa: il senso esasperato di ingiustizia è una molla che ha consentito l'evoluzione della specie". Davanti a interlocutori istituzionali che non sanno o non vogliono rispondere la conflittualità si trasforma in violenza. "Dovremmo ricordarci, però, che da giovani abbiamo fatto le stesse cose e anche peggio, anche nel caso dell'attuale classe politica milanese". Oggi - citando Moravia - "'La realtà non mi persuade' credo sia l'atteggiamento caratteristico del ceto medio, un'abdicazione dalla razionalità civile che ha reso Milano irriconoscibile".

Una critica "che mi sono rivolto negli anni Settanta e ora faccio alla politica è di aver imboccato una fuga dal principio di realtà: non ha misura di quanto avviene a pochi chilometri dal salotto buono della città". Una volta la politica (insieme ai sindacati) "avrebbe avviato una riflessione su quanto accaduto - fermo il 'chi sbaglia paga' - ma non avrebbe reagito come un animale punto sul vivo, con una disperazione che non differisce molto da quella dei black bloc". Per rimediare "ai danni inflitti in questi anni, da un cretinismo econometrico diventato un mainstream che ha sedotto la massa, bisognerà rimboccarsi le maniche e cominciare dalla vera emergenza nazionale: la disoccupazione giovanile che - conclude Mario Ferrandi - è solo la cartina di tornasole del fallimento dei ricettari neoliberisti anglosassoni applicati alla società italiana".

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