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Mafia: pm Di Matteo, disinteresse della politica per antimafia

15 maggio 2015 | 16.12
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"Oggi, in molti fanno finta di non vedere, di non capire la vera essenza della mafia siciliana. Nelle istituzioni, nella politica, ma anche nella magistratura e tra le forze dell’ordine. Respiro un’aria strana in questi ultimi tempi: un’atmosfera carica della falsa e pericolosa illusione che Cosa nostra sia ormai alle corde". Il pubblico ministero Nino Di Matteo lancia un allarme sullo stato attuale della lotta alla mafia. Ha rassegnato le sue preoccupazioni in un libro scritto con il giornalista Salvo Palazzolo. Si intitola: 'Collusi. Perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia', edito da Bur.

Dice Di Matteo: "Continuo a constatare che l’organizzazione mafiosa non ha smesso di tessere le sue trame dentro i palazzi del potere, con metodi nuovi, sempre più invisibili e perciò insidiosi". Il sostituto procuratore che a Palermo indaga sui misteri della trattativa Stato-mafia ripercorre la stagione del dopo stragi Falcone e Borsellino: "All’epoca, sembrava iniziata una vera e propria rivolta contro la mafia, a tutti i livelli". Poi, dice, "è accaduto qualcosa".

Di Matteo, nel suo libro 'Collusi', traccia il bilancio di vent’anni di lotta alla mafia. Dopo il grande impegno seguito alle stragi Falcone e Borsellino, "all’improvviso – scrive il pubblico ministero di Palermo - è iniziata a montare una sorta di onda lunga di riflusso. Prima le campagne di stampa abilmente organizzate contro alcune indagini eccellenti, e i tentativi, in gran parte riusciti, di instillare nell’opinione pubblica un malcelato fastidio nei confronti dei collaboratori di giustizia. In seguito, è arrivata addirittura una riforma legislativa che ha definitivamente disincentivato il fenomeno del pentitismo". "A quel punto – sostiene Di Matteo – sono tornato a respirare un’aria di disinteresse sempre più chiaro e generalizzato della politica nei confronti della lotta alla mafia". Il magistrato parla di "germe dell’indifferenza", che "ha camminato, si è diffuso, si è insinuato anche nei tessuti che sembravano più resistenti. Poco alla volta ha provocato, persino in una parte della magistratura e delle forze dell’ordine, una sorta di stanchezza e di fastidio nei confronti di quelle indagini che miravano a scoprire in che modo la mafia sia ancora ben presente dentro le stanze del potere. Quella è stata l’amarezza più grande. Come se nessuno più ricordasse il dolore, come se nessuno più vivesse la rabbia dei giorni che seguirono la morte di Falcone e Borsellino".

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