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Funerali Casamonica: la Romanina come Scampia, feudo del clan 'post nomade'

21 agosto 2015 | 16.12
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L'area della
L'area della "Romanina"

Cancelli ad apertura elettronica, patii con colonne di finto porfido, cani da guardia e soprattutto una intensa e inflessibile vigilanza da parte dei sodali del clan Casamonica, protagonisti del funerale al boss Vittorio, ieri alla chiesa di s.Giovanni Bosco a Roma. Siamo alla Romanina, borgata popolare nata sul ridosso esterno del Grande raccordo anulare di Roma, inizialmente in pieno agro romano e poi lentamente urbanizzata, spesso abusivamente, dalle classi meno fortunate della popolazione romana, e ora feudo incontrastato del clan romano, non più nomade ma stanziale da decenni, fin dai tempi del fascismo.

Nella stessa area sorge persino la seconda università di Roma - Tor Vergata, il cui primo nucleo venne realizzato all'interno di un ex motel proprio di fronte al confine mai dichiarato ma palpabile dell'area sotto il controllo dei Casamonica, e poi sviluppatasi più verso est a ridosso della bretella autostradale che porta ai caselli dell'Autosole.

A tracciare un ritratto "territoriale" del dominio del clan, accomunato come degrado sociale alla campana Scampia, sono diverse sentenze e testimonianze, raccolte nel volume "Mafie nel Lazio" (rapporto dell'Osservatorio Tecnico Scientifico per la sicurezza e la legalità, in collaborazione con Libera) del febbraio scorso, di cui qui si pubblicano stralci. Nella borgata, certifica il rapporto, "il clan ha costituito “una enclave” fortificata creando “una sorta di mercato permanente per i tossicodipendenti di tutta l’area sud di Roma e per quella dei Castelli Romani".

La Romanina, tra il 1970 e il 1990, "è stata progressivamente oggetto, dapprima, del trasferimento in blocco di numerose famiglie Rom (all’epoca ancora ritenute “nomadi”) e, successivamente, della trasformazione in famiglie “stanziali” a tutti gli effetti, con insediamento definitivo nella zona e sostituzione dei residenti “storici”, ossia le famiglie di operai ed impiegati che avevano dato il nome alla borgata (la “Piccola Roma”, appunto). La presenza di numerosi pregiudicati tra gli indagati e i consolidati legami con altri ambienti criminali, hanno consentito, con il passare del tempo la nascita di una vera e propria associazione a delinquere".

Un fenomeno criminale complesso, secondo il giudice Guglielmo Muntoni citato nel rapporto, "perché i Casamonica vengono deportati a Roma durante il fascismo, e si tratta di un gruppo enorme composto da diverse famiglie: i Casamonica, i di Silvio, i di Gugliemo, di Rocco e Spada, Spinelli. Si tratta di famiglie tutte strettamente connesse sulla base di rapporti fra capostipiti che si sono sposati con appartenenti alle varie famiglie. Si tratta almeno di un migliaio di persone operanti illegalmente a Roma".

Una ramificata organizzazione criminale che fa dello spaccio in un’area ad alta densità commerciale della città il proprio business abituale; "un’associazione in grado di realizzare un controllo capillare del territorio grazie ad una rete sofisticata di pusher e vedette, per lo più donne. Un’associazione di elevatissimo spessore criminale e che per anni ha monopolizzato il traffico di droga in un ampia zona di Roma".

"L’azione del clan Casamonica – Di Silvio – De Rosa - si è snodata nella zona della Romanina tra i quartieri Appio – Tuscolano, Cinecittà e Anagnina, dal 2009 in avanti -scrive il gup del Tribunale di Roma Simonetta D'Alessandro nella sentenza 13000/10 del 26 gennaio 2013-. Si tratta di uno dei gruppi malavitosi più potenti e radicati del Lazio, i cui affiliati dichiarano in forma costante, quasi indefettibile, un reddito inferiore alla soglia di povertà, ma vivono in ambienti protetti da recinzioni, videocamere, vigilanza armata".

E ancora la stessa sentenza: "Il richiamo a realtà criminali pervasive e pulviscolari, capaci di penetrare la vita di interi gruppi familiari evoca, con Scampia, spaventose condizioni di povertà, degrado, disoccupazione, terreno fertile per la penetrazione della criminalità alimentata dal traffico di droga soprattutto al dettaglio. Dagli atti emerge un territorio militarizzato in cui l’attività di spaccio è praticata di giorno e di notte, senza sosta, a condizioni di vendita uniformi, con la consegna di bustine dal prezzo uniforme, dalla confezione elettrosaldata uniforme, dalla qualità uniforme, dalla quantità uniforme, sicché nulla può far pensare ad attività individuali, ma tutto riconduce ad un sistema organizzato e coeso" .

Sul punto del controllo a mezzo delle vedette effettuato dai Casamonica la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 6 maggio 2014 sottolinea: "il controllo delle vedette, sempre era talmente efficace che 'una volta che eravamo stati avvistati noi (la polizia, ndr), non si vendeva più'".

Nella sentenza si ricorda infine che "quando i poliziotti chiedevano agli acquirenti informazioni in ordine ai soggetti da cui avevano acquistato la droga, notavano che quasi sempre gli acquirenti avevano paura e si rifiutavano di rendere dichiarazioni in ordine ai nominativi degli spacciatori".

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