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Delitto Garlasco, Stasi si è costituito in carcere

12 dicembre 2015 | 09.34
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Scarpe e bugie, ecco le prove dei giudici - Le lacrime di Alberto dopo la sentenza

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Alberto Stasi si è costituito nel carcere milanese di Bollate dopo che la Cassazione ha reso definitiva la condanna nei suoi confronti per l'omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto del 2007. In particolare la V Sezione Penale, dopo appena poche ore di camera di consiglio, ha respinto sia il ricorso di Stasi che quello della Procura generale di Milano che chiedeva una condanna a 30 anni di reclusione contestando al giovane anche la crudeltà dell'omicidio.

Con questa decisione, la Suprema Corte ha messo la parola fine a una vicenda giudiziaria iniziata 8 anni fa e ha convalidato la decisione della Corte d'Assise d'Appello di Milano del dicembre del 2014 che aveva condannato Stasi a 16 anni di reclusione.

LA MAMMA E IL PAPA' DI CHIARA - "Giustizia è stata fatta", ha detto la mamma di Chiara Poggi all'Adnkronos. Dal giorno della sua morte "noi non abbiamo mai mollato, abbiamo sempre inseguito e lottato per la verità e piano piano la verità è venuta fuori". Accanto alla signora Rita, in via Pascoli a Garlasco, il marito Giuseppe Poggi. "Non siamo in grado di dire se sono giusti, se sono pochi o tanti gli anni, le regole sono queste e noi accettiamo la sentenza" ha detto il papà di Chiara, rispondendo ai giornalisti in merito alla condanna a 16 anni per Stasi.

LEGALI DELLA FAMIGLIA POGGI - La Cassazione ha "accertato la verità processuale" hanno commentato i legali della famiglia Poggi, Gianluigi Tizzoni e Francesco Compagna. "Non si può parlare di soddisfazione - ha affermato Tizzoni - siamo davanti a una tragedia che riguarda una famiglia. Ma oggi bisogna dire che l'esito della Cassazione ha accertato una verità processuale". I legali della famiglia Poggi ritengono che il verdetto della Cassazione che conferma la condanna a Stasi senza le aggravanti della crudeltà non sia affatto una "sentenza a metà. E' la pena di chi ha scelto il rito abbreviato ma ciò che importa è che oggi sia stata accertata la verità del terribile omicidio di Chiara. Da parte nostra andremo avanti sempre nell'interesse della famiglia di Chiara".

LA DIFESA DI STASI - Ma per la difesa di Stasi quella della Cassazione è una "sentenza allucinante. Non si mette una persona in carcere senza una prova certa" è l'amaro commento dei legali. Alberto, come aveva spiegato il suo difensore Angelo Giarda, si è costituito spontaneamente ma Fabio Giarda, difensore di Stasi insieme al padre Angelo, all'uscita della Cassazione ha tenuto a sottolineare: "Prendiamo atto della decisione ma Alberto andrà in carcere senza una prova certa e con una sentenza che è completamente illogica come aveva denunciato il sostituto procuratore generale della Cassazione ieri nella sua requisitoria".

La Procura generale della Cassazione, in una requisitoria senza precedenti tenuta da Oscar Cedrangolo, aveva chiesto di annullare la condanna nel caso la Corte avesse ritenuto che non c'erano "prove certe al di là di ogni ragionevole dubbio" a carico di Stasi o, viceversa, di accogliere la richiesta della Procura di Milano che chiedeva 30 anni per Stasi con le aggravanti della crudeltà e della premeditazione qualora avessero ritenuto che le prove contro Stasi fossero state "oltre ogni ragionevole dubbio".

A detta della Procura, in ogni caso, ci sarebbero stati elementi sufficienti per annullare senza rinvio la sentenza di condanna poiché la sentenza d'appello bis aveva "travisato le risultanze processuali".

La Quinta sezione penale di piazza Cavour ha invece ritenuto di convalidare il giudizio dell'appello bis, condannando Stasi a 16 anni di reclusione. Bisognerà attendere il deposito delle motivazioni, ma è evidente che gli 'ermellini' rigettando sia il ricorso di Stasi che chiedeva l'assoluzione, sia quello della Procura milanese, hanno ritenuto che la sentenza del dicembre 2014 fosse "priva di illogicità" e "ben motivata".

Nell'appello bis i giudici milanesi hanno accertato come prove a carico del commercialista 32enne sia le impronte sul dispenser portasapone nel bagno dei Poggi, sia il Dna trovato sui pedali della bicicletta sequestrata. Inoltre, la Corte d'Assise d'Appello di Milano, due anni fa, ha ritenuto che Alberto avesse "fornito un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine", oltre al fatto che, "come l'assassino, calza scarpe numero 42".

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