La 'stepchild adoption', oggetto principale della contesa politica sulle unioni civili, "non è e non si può considerare un'adozione piena". Lo sottolinea all'AdnKronos l'avvocato Alessandra Gatto, esperta di diritto di famiglia, ricordando che "nell'ordinamento esistono tre tipi di adozione: innanzi tutto vi è l'adozione piena attraverso la quale ha luogo l'adozione di un minore privo di assistenza morale e materiale. Vi è poi quella 'in casi particolari', istituto nato nel 1983 e infine l'adozione del maggiorenne, che non ha funzione protettiva verso il minore, essendo ovviamente diretta alla creazione di un vincolo con un maggiore di età, che riveste natura prevalentemente successoria".
Il ddl Cirinnà "fa appunto riferimento all'articolo 44 lettera B della legge 184/83, che disciplina le adozioni 'in casi particolari', per estendere alle persone dello stesso sesso la possibilità di adottare il figlio del compagno/a parte dell'unione civile. In questo modo -prosegue la giurista- anche l'adottante diviene titolare della responsabilità genitoriale, con i doveri che derivano nei confronti del minore adottato".
Sul punto, a fare giurisprudenza è anche una pronuncia del'agosto 2014 con la quale il tribunale per i minorenni di Roma estese la genitorialità alla convivente di una donna. "Il problema è che la legge Cirinnà sembra costituire più che altro uno strumento per estendere il diritto alla genitorialità più che un istituto a protezione del minore". A giudizio di Alessandra Gatto, "la copertura giuridica della relazione affettiva tra il minore e l'adottante dovrebbe essere subordinata all'accertamento, anche giudiziario, dell'effettiva esistenza di un legame tra queste due persone. In questo modo, il riconoscimento del diritto sarebbe ancorato a parametri certi".
