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Il caso

Il legale dei genitori di Eleonora, morta per aver rifiutato la chemio: "Rispettate sue volontà"

02 settembre 2016 | 16.19
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(Fotogramma)
(Fotogramma)

"Tanto accanimento verso i genitori di Eleonora assolutamente non è giustificato, loro hanno cercato di aiutare e sostenere la volontà della figlia e si sono sempre attenuti alle decisioni del Tribunale dei minorenni di Venezia e del tutore, il professor Benciolini, un medico legale che l'ha seguita amorevolmente. Per cui non capisco quale reato possano aver commesso. Sono assolutamente tranquillo". Lo dice all'Adnkronos l'avvocato Gian Mario Balduin, legale della famiglia di Eleonora Bottaro, la 18enne malata di leucemia morta dopo aver rifiutato la chemioterapia.

"Il padre - racconta l'avvocato - ieri era talmente distrutto che non riusciva neanche a stare in piedi, non è riuscito ad andare al funerale della figlia, stava tremendamente male".

"Un'altra cosa fondamentale, che vorrei sottolineare, è che c'è un diritto costituzionale alla scelta delle cure - aggiunge - ed Eleonora è stata ripetutamente sentita dal Tribunale di minori, che in un provvedimento le ha riconosciuto maturità e quindi autodeterminazione". Il tribunale dei minorenni di Venezia, spiega Balduin, ha seguito la vicenda da marzo quando Eleonora ha iniziato le cure a base di cortisone e vitamina C nell'ospedale di Bellinzona.

"E' stato il comitato etico dell'ospedale di Padova a - spiega all'Adnkronos l'altro legale della famiglia, l'avvocato Roberto Mastalia - a inviare un parere pieno di falsità al Tribunale dei minorenni di Venezia".

"Hanno scritto che Eleonora era una ragazza non in grado di decidere per sé e succube dei genitori, che l'avrebbero indotta a questa scelta. Inoltre avevano descritto la famiglia Bottaro come una famiglia 'border line' portando come motivazione il fatto che non utilizzavano cellulari tablet e tv. Dico solo che il signor Bottaro è titolare di un'azienda che commercializza computer".

"La cosa che più ha pesato nella scelta di Eleonora - continua - è stata la durezza con la quale è stata trattata nel reparto di oncologia di Padova, il rapporto con i medici si è guastato e deteriorato al massimo, lei non credeva più in quella classe medica e non credeva nella chemio. Invece bisognava convincerla alla chemio ma con delicatezza".

"Due anni prima nello stesso reparto e nella stessa stanza - spiega all'Adnkronos l'altro legale della famiglia, l'avvocato Roberto Mastalia - era morta di leucemia, dopo essersi sottoposta alla chemioterapia, la migliore amica di Eleonora. Inoltre, il giorno in cui i genitori della ragazza hanno saputo la diagnosi ricorrevano i tre anni dalla morte del fratello di Eleonora. Per questo avevano chiesto ai medici di non dire nulla a Eleonora almeno quel giorno perché per lei era già una giornata molto triste".

"I medici invece, come spesso accade, privi di qualsiasi sensibilità sono andati da lei e le hanno detto: 'hai una leucemia linfoblastica acuta o iniziamo la chemio subito o muori entro 15 giorni - aggiunge - Qualora vi fosse stata anche solo la possibilità di convincere Eleonora a fare la chemio in questo modo se la sono giocata: lei aveva davanti a sé l'esempio della sua amica, che aveva fatto la chemio ed era morta. Lei doveva essere confortata e supportata ma questo non è accaduto".

"Eleonora, alla luce di quello che era successo alla sua amica - spiega - si è trovata di fronte a una scelta: fare la chemio, soffrire e forse morire o non farla e tentare un approccio alternativo". "Io da padre - continua l'avvocato - ritengo che in tutte le patologie tumorali le cure per poter avere successo devono partire da una ferma convinzione del soggetto di voler aggredire la patologia e questo si costruisce con un rapporto fiduciario con i medici".

C'è poi da dire, sottolinea Roberto Mastalia, che "i dati della medicina ufficiale in ordine alle percentuali di sopravvivenza non sono veritiere. Prima dei 18 anni la medicina ufficiale ci dice che l'80 per cento dei bambini sottoposti a protocollo con chemioterapici sopravvive e questa percentuale sopra i 18 anni crolla al 20%. Questo perché molto spesso i bambini sottoposti a protocolli chemioterapici a 13-14 anni arrivano ai 18 e muoiono subito dopo. Quindi questo è un dato falsato".

Intanto, l'Ente ospedaliero cantonale (Eoc) conferma che "la giovane paziente sul cui caso i media italiani e ticinesi hanno ampiamente riferito, è stata ricoverata nel Servizio di emato-oncologia pediatrica dell'ospedale San Giovanni di Bellinzona. Anche nella struttura, per la cura delle leucemie, si seguono i medesimi protocolli di terapia impiegati nei paesi vicini alla Svizzera e riconosciuti a livello internazionale. Nel caso evocato dalla stampa, in nessun momento la nostra struttura a Bellinzona ha proposto o seguito alcuna pratica alternativa senza legami scientificamente fondati nella cura di queste patologie".

L'ospedale di Bellinzona "non ha mai praticato il metodo Hammer, una pratica alternativa senza fondamento scientifico. Purtroppo, malgrado tutti i nostri sforzi, sia la paziente che i genitori hanno continuato a rifiutare qualsiasi terapia chemioterapica; questo tipo di cura oggi è in grado di offrire una possibilità di guarigione definitiva a lungo termine nella misura dell'80-85% dei casi".

"La legislazione svizzera - prosegue la nota - vieta di obbligare una persona capace di discernimento a seguire le cure proposte dagli specialisti, dopo che queste sono state ampiamente spiegate e dopo aver lasciato il tempo necessario per prendere una decisione. Tutte le persone coinvolte nella presa in carico della paziente, dai colleghi di Padova al nostro servizio, si sono prodigati per cercare di far comprendere come, in assenza di cure adeguate, le possibilità di guarigione fossero nulle, tenendo in considerazione le sue paure nei confronti di una terapia che può avere effetti secondari sgradevoli, ma transitori".

"L’unica terapia che ci è stata permessa - precisa l'ospedale svizzero - è stata l’applicazione di corticosteroidi e ciò ha consentito un transitorio miglioramento, prima che la malattia non riprendesse il suo ineluttabile decorso fatale. Questo triste episodio ci ha profondamente toccati. Malgrado tutti i nostri tentativi, non siamo riusciti a far capire alla paziente e ai suoi genitori il nostro impegno per riuscire a guarirla. La giovane paziente è rimasta vittima di credenze che ancora oggi purtroppo riescono a mietere vittime quando invece esistono cure riconosciute internazionalmente e applicate sia in Italia che in Svizzera".

"Vorremmo anche evitare di veicolare un’immagine distorta del lavoro svolto in maniera professionale presso le strutture sanitarie, sia in Svizzera che in Italia - conclude la nota - e speriamo vivamente che quanto accaduto possa essere di aiuto per altre famiglie che devono prendere delle gravi decisioni".

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