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Banda Uno Bianca, Savi in sciopero della fame: chiede un pc e di poter lavorare

17 ottobre 2016 | 19.58
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(Fotogramma)
(Fotogramma)

Ha iniziato una settimana fa lo sciopero della fame, Fabio Savi, uno dei capi (insieme al fratello Roberto) della banda della Uno Bianca, condannato all'ergastolo e in carcere da 22 anni. Savi è detenuto nella casa circondariale di Uta (Cagliari) e, come spiega il suo avvocato Fortunata Copelli, "ormai da maggio scorso ha chiesto un pc per poter scrivere libri, quindi senza collegamento internet, e di poter svolgere un lavoro per mantenersi", tutte cose, spiega l’avvocato, che può ottenere "in una casa di reclusione e non in una casa circondariale" come quella del Cagliaritano.

Savi chiede perciò il trasferimento in un’altra struttura carceraria e lo "sciopero della fame - spiega l’avvocato - è l'unica forma di protesta che può adottare nella speranza di farsi ascoltare, accettando le conseguenze che potrà avere sul suo stato di salute". "A dare il benestare alla richiesta di Savi - prosegue Copelli - è stato anche il direttore del carcere, Gianfranco Pala e l’assistente sociale ma dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) non è arrivata nessuna risposta".

"Se il carcere deve avere una funzione di reinserimento - afferma l’avvocato Copelli - Savi dev’essere trasferito. Un detenuto con ‘fine pena mai’ deve poter comunque scontare la pena in modo dignitoso e secondo i principi costituzionali. Savi chiede di poter lavorare: nella casa circondariale dove è recluso può esercitare solo l’ozio". Tutte richieste "legittime" che, spiega ancora l’avvocato, "nel caso di Savi vengono equiparate alla richiesta di libertà. Sono molto arrabbiata - prosegue - perché sembra che il ministero voglia avere nei suoi confronti un atteggiamento di dispetto".

"In 10 anni che seguo Savi - conclude - non ho mai fatto sentire la mia voce ma stavolta è diverso. Si parla di diritti riconosciuti dalla Costituzione. Ci siamo sentiti in questi giorni al telefono e gli ho promesso che avremmo ottenuto quello che chiede. Qualche mese fa, la Cassazione ha bocciato il ricorso con cui Savi chiedeva di commutare il carcere a vita in 30 anni di reclusione".

"Non provo nessuna pietà - commenta all'AdnKronos Rosanna Zecchi, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime della banda della Uno Bianca - Fabio Savi non merita nulla e fanno bene a non concedergli nulla. Ha agito con una crudeltà talmente grande che per me non ha più diritti. Lui e gli altri assassini della Uno Bianca per me non sono neanche esseri umani".

"Savi - prosegue Zecchi - non ha avuto pietà per nessuno, ha ammazzato 24 persone, dunque che resti in carcere senza nessun privilegio. Non si è neanche mai pentito pubblicamente per l’orrore che ha causato. Siamo davvero stanchi, noi familiari delle vittime, di questi assassini che continuano ad avere pretese, non ne possiamo più. Ammazzavano senza pietà e allora, nei confronti di Savi e gli altri, perché bisognerebbe avere pietà?".

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