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Scarpe, bici e graffi: tutte le prove contro Stasi

19 dicembre 2016 | 18.02
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(Fotogramma)
(Fotogramma)

Colpita a pochi passi dalla porta d'ingresso, trascinata e gettata lungo le scale che conducono in cantina. Il 13 agosto 2007 sul pavimento della villetta di via Pascoli a Garlasco (Pavia) restano le tracce delle mani insanguinate della vittima, Chiara Poggi, colpita più volte con un'arma sconosciuta, forse un martello. Un'aggressione feroce: l'assassino infierisce fino a sfondarle il cranio. Nulla manca nell'abitazione da giustificare un tentativo di furto e non ci sono tracce di estranei.

La 26enne indossa un pigiama estivo, è lei probabilmente ad aprire la porta a chi le toglie la vita. Nessuna ombra nella sua vita, pochi amici e la storia d'amore di quattro anni con Alberto Stasi. E' lui, 24enne allora laureando alla Bocconi, che scopre il corpo della fidanzata e su di lui puntano le indagini. A non convincere è l'assenza delle impronte delle scarpe sul pavimento di casa Poggi, alcuni dettagli sul ritrovamento della vittima, la 'freddezza' della telefonata al 118. A una settimana dall'omicidio viene iscritto nel registro degli indagati, il 24 settembre con il ritrovamento del Dna della vittima sui pedali della bici bordeaux di Stasi scatta il fermo, ma il gip lo scarcera dopo quattro giorni.

Contro Alberto inizia un processo indiziario che si trasforma in una guerra di perizie, firmate da consulenti di parte o esperti nominati dal giudice, mini memorie e controdeduzioni arricchiscono i falconi di un'inchiesta con qualche errore d'indagine iniziale.

Il processo con rito abbreviato di primo grado dura 24 udienze e come quello d'appello porta all'assoluzione dell'unico imputato, ma il 17 aprile 2013 a sorpresa la Cassazione annulla la doppia assoluzione e ordina un nuovo processo con altre perizie e acquisizioni Nel processo d'appello 'bis' la perizia sulla camminata incastra Alberto: i giudici decidono, nel dicembre 2014, una condanna a 16 anni di carcere. Sentenza confermata il 12 dicembre 2015 dalla Cassazione. Fino al colpo di scena di oggi - è stato identificato un Dna maschile sulle unghie della vittima - che potrebbe riaprire il processo. Ecco gli elementi su cui i giudici hanno deciso.

L'ALIBI - Alberto ha sempre sostenuto di lavorare alla tesi di laurea mentre Chiara moriva. Un 'alibi' cancellato dagli accessi 'illeciti' fatti dai carabinieri al suo computer. Solo una perizia ricostruisce il suo lavoro quella mattina: Alberto inizia a lavorare al suo file dalle 9.36, Chiara disattiva l'allarme di casa alle 9.12; in 23 minuti secondo accusa ed esperti Alberto ha potuto uccidere la fidanzata.

IL MOVENTE - E' nella relazione di coppia che l'accusa scava per dare un movente al delitto del 13 agosto 2007. Chiara, sostiene il procuratore generale in aula, avrebbe scoperto le numerose foto pornografiche presenti nel computer di Alberto. La sera prima del delitto la giovane coppia avrebbe litigato, la teoria che non ha trovato elementi oggettivi a supporto.

LE BUGIE - Il racconto di Alberto non convince: la telefonata al 118 viene fatta non davanti alla villetta ma a pochi passi dalla stazione dei carabinieri come svela una voce in sottofondo. Stasi mente sul numero delle biciclette in possesso della sua famiglia e non spiega di aver lavorato alla tesi la mattina del delitto, secondo l'accusa. Non convince il racconto del volto "pallido" della fidanzata ricoperto invece di sangue quando i soccorritori trovano il corpo di Chiara.

LE SCARPE - In primo grado, secondo i periti, le scarpe indossate dall'imputato e consegnate il giorno dopo ai carabinieri si sono potute ripulire dopo aver calpestato il pavimento sporco di sangue di casa Poggi. Secondo i nuovi periti, invece, è da escludere che il sangue secco, una volta pestato, si sia disperso. Chi ha calpestato il pavimento della villetta non poteva uscire con le scarpe pulite, la conclusione dei consulenti. Inoltre, l'esperimento effettuato sui tappettini della Golf nera - l'auto usata per raggiungere i carabinieri dopo aver scoperto il corpo di Chiara - certifica che qualche traccia di sangue doveva restare.

I GRAFFI - Nel processo d'appello 'bis' spunta la testimonianza di due carabinieri che parlano di due piccoli graffi visti sull'avambraccio di Alberto il giorno del delitto. Graffi, però, non fotografati e smentiti, a dire della difesa, da un soccorritore che avvicina Alberto davanti a via Pascoli.

IL DNA - La perizia sul capello trovato nella mano di Chiara non ha fornito elementi utili, lo stesso può dirsi anche per l'analisi dei frammenti delle unghie della vittima. La prova - non ha rilevanza scientifica visto il cattivo stato di conservazione del reperto - porta a conclusioni diverse: sulle unghie di Chiara ci sarebbe un cromosoma Y non del tutto incompatibile con quello di Stasi per l'accusa; per la difesa non si potrebbe escludere la presenza di un secondo cromosoma maschile.

LE BICICLETTE - Il ritrovamento del Dna di Chiara sulla bici bordeaux di Alberto portò al suo fermo (quattro giorni di carcere a partire dal 24 settembre 2007, poi la scarcerazione da parte del gip), ma è su una bici nera vista da una vicina davanti a casa Poggi la mattina del delitto che si concentrano le indagini. Alberto invertì i pedali tra le due bici quando la stampa iniziò a scrivere che si cercava una bici nera è la tesi della parte civile; c'è una terza bici mai trovata per la pubblica accusa.

IL PORTASAPONE - Una foto mostra che sul pigiama rosa di Chiara ci sono quattro impronte di una mano dell'assassino: quando viene spostato il corpo, però, la maglietta viene intrisa di sangue e addio ditate. Quella immagine svela che chi ha ucciso si è sporcato e prima di scappare si è lavato in bagno. Lo dimostrano le impronte insanguinate delle scarpe dell'assassino - numero 42 lo stesso di Stasi - , mentre sul dispenser portasapone resta il sangue della vittima misto al Dna di Alberto. Se il killer avesse lavato il dispenser quella traccia di Alberto non doveva essere lì, per l'accusa.

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