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Guido Salvini: "Stop a processi mediatici, informazione non sia buca delle lettere dei pm"

06 febbraio 2017 | 17.21
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Il giudice  Guido Salvini
Il giudice Guido Salvini

Oggi "il problema non è più quello della carcerazione ma piuttosto quello del processo in sé e dell’immediata osmosi tra questo e l’informazione, un’osmosi che avviene quasi senza regole e che si abbatte sull’indagato e a volte anche sui testimoni con danni spesso irreparabili. Qualche regola si deve fissare senza agitare sempre il pericolo di 'leggi bavaglio'".

Processo penale e informazione. E' questo, da decenni, uno dei problemi principali della giustizia sul quale intervenire senza indugiare ulteriormente. Lo afferma all'Adnkronos Guido Salvini, in passato giudice istruttore e poi gip a Milano, il togato che ha condotto indagini in materia di terrorismo sia di sinistra che di destra, che ha riaperto le indagini sulla strage di Piazza Fontana, che si é occupato di casi di criminalità economico-finanziaria. Gip del caso legato al sequestro di Abu Omar, ha seguito le prime inchieste sul terrorismo di matrice islamica. Negli ultimi anni é stato il gip dell'inchiesta condotta a Cremona sul calcio scommesse. Ora é rientrato a Milano.

Alla vigilia del primo incontro pubblico in agenda per domani a Palazzo di Giustizia sulle 'nozze d'argento' di Mani Pulite, con due dei principali protagonisti della stagione di Tangentopoli, Piercamillo Davigo e Antonio Di Pietro, subito dopo le critiche sollevate dal Primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio su processi mediatici, fuga di notizie appunto, carcerazione e autoreferenzialità di alcuni pm, Guido Salvini punta dritto su quella che vede come un'osmosi pericolosa tra informazione e processo. E spiega: "Nessuno, indagato o testimone, grande o piccolo che sia, deve apprendere per la prima volta dai giornali di una sua iscrizione nel registro notizie di reato, di una intercettazione, di una proroga indagini, di un qualsiasi atto che lo riguardi. La pubblicazione di notizie di questo tipo -sottolinea- non dovrebbe essere consentita sino ad un momento preciso: quello in cui l’interessato ha avuto la possibilità di dare davanti ad un magistrato la sua versione su ciò di cui è accusato o su quanto si dice di lui".

Un esempio pratico viene dalle intercettazioni telefoniche. "Non dimentichiamo che ad esempio una conversazione telefonica - dice Guido Salvini- non è quasi male un discorso strutturato, funziona per frasi sincopate, interruzioni, spesso iperboli, divagazioni, intonazioni che non conosciamo. Chi parla ha il diritto di non essere scaraventato sulla stampa prima di fornire la propria spiegazione di quanto si stava dicendo, e si era detto prima e dopo, magari qualcosa di diverso da quanto ipotizza l’accusa".

Un principio, quello che ricorda Salvini, che non svilisce il diritto di cronaca, anzi. "Non dico che nulla di un’indagine possa diventare una notizia -precisa il giudice milanese- ma che ciò debba avvenire solo quando una vicenda sia giunta ad un minimo di stabilità e vi sia stato almeno un inizio di contraddittorio. Altrimenti -osserva-, e non dovrebbe essere il desiderio nemmeno dei direttori dei giornali e dell’Ordine dei giornalisti, chi scrive si riduce ad una buca delle lettere usata per lo più dagli inquirenti e che in più vogliono che le notizie che fanno filtrare siano pubblicate con la velocità di un telegramma. E questa non è informazione ma eterodirezione dell’informazione".

Alla vigilia delle inevitabili celebrazioni della stagione giudiziaria più clamorosa in Italia, quella di Mani Pulite, Guido Salvini dice la sua anche sul tema della carcerazione preventiva, in passato additata soprattutto dalla politica come una sorta di tortura esercitata per estorcere confessioni. Non é più così, dice oggi il giudice. "La gran maggioranza degli arresti di Mani Pulite non si fondava certo sul pericolo di fuga o di reiterazione del reato, molto improbabili in quella situazione, ma sul cosiddetto pericolo di inquinamento probatorio e cioè il pericolo che gli imputati si mettessero d’accordo tra loro per dire il falso o anche solo per tacere".

Nella pratica, prosegue "quasi tutti hanno confessato subito e, salvo qualche imputato di maggior rilievo, sono usciti dal carcere dopo pochi giorni. Questi provvedimenti di natura opposta a breve distanza di tempo, prima era necessario il carcere, pochi giorni dopo no, dimostrano come i pubblici ministeri si muovessero su un crinale molto stretto, al limite di quanto previsto dal Codice e che la famosa interpretazione fornita dall’allora pm Davigo 'non li mettiamo in carcere per farli parlare, li scarceriamo se parlano' fosse realtà assai esile, poco più che un sottile sofisma. In realtà i pubblici ministeri sapevano benissimo che quegli imputati avevano paura del carcere e che l’arresto avrebbe avuto il suo effetto".

Oggi però "la situazione molto diversa. La riforma in materia di custodia cautelare del maggio 2015 ha ristretto ancor più l’applicazione della carcerazione alle situazioni in cui si può seriamente motivarne le necessità e ormai i casi in cui si può intravedere un abuso della carcere preventiva sono piuttosto rari".

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