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Vermicino

36 anni fa la tragedia di Alfredino, 60 ore di agonia in diretta tv

13 giugno 2017 | 14.03
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Alfredo Rampi (Foto da Wikipedia)
Alfredo Rampi (Foto da Wikipedia)

Dopo 60 ore di agonia, trasmessa in diretta a reti unificate, l'Italia si arrende al fallimento. L'annuncio è del conduttore del Tg1 Massimo Valentini che, in lacrime, comunica che il corpo di Alfredino è scivolato giù, sprofondando per 26 metri in fondo a quel pozzo. Pozzo nel quale sono rimaste sepolte anche le responsabilità, mai accertate, di chi lo lasciò scoperto, ponendo fine per sempre all'allegra corsa di un bimbo di sei anni, che giocava tranquillamente in un prato. Sono passati 36 anni dalla tragedia di Vermicino, che si consumò passo passo sotto gli occhi di milioni di italiani, attraverso le immagini trasmesse dai telegiornali.

Sono le 19 del 10 giugno 1981 quando il padre di Alfredino Rampi, allarmato dall'assenza del figlio, chiama la polizia. Gli agenti, arrivati sul posto, si rendono subito conto della situazione: le urla del bambino di 6 anni provengono da un'apertura circolare del terreno, con un diametro di appena 30 centimetri. Un pozzo artesiano, tra le cui pareti che sprofondano per circa 30 metri si trova incastrato l'esile bambino.

Il telegiornale dà subito la notizia, intanto i vigili del fuoco tentano di tenere sveglio il piccolo. Con il passare delle ore ci si rende conto che liberarlo è tutt'altro che facile, visto che i tradizionali mezzi di salvataggio si rivelano inutili. La disperazione cresce mentre arrivano sul posto tecnici e speleologici, ma senza alcun esito. Allora si comincia a tentare l'impossibile, si domanda l'aiuto di contorsionisti, nani, circensi, fantini: il risultato non cambia, tutti inesorabilmente falliscono, risalendo in superficie con ferite, escoriazioni e mani vuote.

La vicenda comincia a rimbalzare da un tg all'altro, entra prepotentemente nelle case degli italiani diventando un vero caso mediatico: la sera del 12 giugno 28 milioni di telespettatori restano incollati al video a seguire la tragedia del bimbo, le cui grida sono amplificate da un microfono calato giù nel cunicolo.

Tra i tanti tentativi di salvare il piccolo, quello del 37enne Angelo Licheri, ex tipografo di origine sarda che, complice il suo fisico minuto da contorsionista, si impegna nella missione impossibile di andare a prendere il bimbo nelle viscere della terra. Licheri si fa legare per i piedi e si fa calare a testa in giù.

L'obiettivo, che poi risulterà vano, è tentare di imbragare il piccolo e portarlo su. Licheri ci va vicinissimo, ma fallisce. Quando torna in superficie scoppia in un pianto dirotto. Da quell'esperienza Licheri non si riprenderà mai più. Si cerca persino di scavare un pozzo parallelo per raggiungere più facilmente il bimbo, ma quanto più la trivella perfora il terreno, tanto più Alfredino sprofonda nel pozzo, sempre più esangue e disperato.

Intanto giungono a Vermicino decine e decine di persone, compreso il presidente della Repubblica Pertini, che tenta di rincuorare personalmente il bimbo, incitandolo a resistere. Ma la gravità della situazione peggiora di ora in ora e ogni tentativo di salvataggio, anche il più rocambolesco, si spegne nella completa e totale inutilità. Il fango all'interno del cunicolo, il terreno duro da penetrare, la confusione, l'impreparazione, la sfortuna, la fretta, tutto contribuisce a decretare la sconfitta.

"Volevamo vedere un fatto di vita, abbiamo visto un fatto di morte", ha detto in diretta un giornalista poco prima delle 7 del 13 giugno: per Alfredino non c'è più niente da fare.

Il cadavere fu recuperato l'11 luglio seguente, 28 giorni dopo la caduta del bimbo nel pozzo.

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