E' legittimo il icenziamento per giustificato motivo soggettivo del dipendente che abusa della connessione internet del pc assegnatogli in dotazione. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con la sentenza 14862/2017 depositata ieri e disponibile online. La sentenza conferma il verdetto della Corte d'Appello di Bologna, che si è espressa nel 2015: l'azienda non ha commesso alcuna violazione della normativa relativa alla riservatezza, poiché "si era limitata a verificare l'esistenza di accessi indebiti alla rete ed i relativi tempi di collegamento, senza compiere alcuna analisi dei siti visitati dal dipendente durante la navigazione o della tipologia dei dati scaricati".
Il lavoratore "non aveva dimostrato, e prima ancora allegato, che la navigazione fosse avvenuta per motivi di lavoro: si era, pertanto, ad avviso della Corte di appello, di fronte ad un utilizzo della dotazione aziendale per fini personali non sporadica o eccezionale ma, al contrario, sistematica, e ciò in considerazione del numero delle connessioni (47), della durata dell'accesso (complessivamente 45 ore) e della rilevante entità dei volumi di traffico". La Corte d'appello aveva decretato "la legittimità del provvedimento espulsivo adottato dalla società, anche se - notava la Corte - non poteva configurarsi una giusta causa di recesso, in relazione all'assenza di precedenti, al fatto che la condotta illecita non aveva inciso sull'attività professionale e all'esiguità del danno sofferto dall'azienda, e la fattispecie richiedeva invece la conversione del recesso, così come intimato, in licenziamento per giustificato motivo soggettivo".