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Roma

Via Poma, il 7 agosto 1990 l'omicidio di Simonetta

07 agosto 2017 | 15.26
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Simonetta Cesaroni, uccisa in via Poma a Roma il 7 agosto 1990 (FOTOGRAMMA) - (FOTOGRAMMA)
Simonetta Cesaroni, uccisa in via Poma a Roma il 7 agosto 1990 (FOTOGRAMMA) - (FOTOGRAMMA)

Processi, sentenze, un suicidio, condanne e assoluzioni. Sono passati 27 anni da quel 7 agosto 1990 quando, in una Roma semideserta, una ragazza di 21 anni viene trovata morta, massacrata con 29 fendenti, negli uffici dell''Associazione Italiana Alberghi della Gioventù' in via Carlo Poma 2.

La giovane si chiama Simonetta Cesaroni e, da allora, la domanda è sempre la stessa: chi l'ha uccisa? L'autopsia accerta che la morte è avvenuta tra le 17:30 e le 18:30 ma il suo corpo viene ritrovato prima di mezzanotte dalla sorella Paola che, preoccupata, va nell'ufficio insieme al fidanzato e al datore di lavoro di Simonetta. La ragazza ha subito 29 colpi di tagliacarte, tutti profondi 11 centimetri: alcuni l'hanno colpita al cuore, altri alla giugulare e alla carotide. Ma a ucciderla è stato un trauma alla testa.

Tre giorni dopo il delitto viene arrestato Pietro Vanacore, il portiere dello stabile nel quartiere Prati, ritenuto reticente dagli inquirenti: è l'ultima persona ad aver visto Simonetta viva e sembra contraddirsi agli interrogatori. L'ipotesi è che abbia tentato di violentarla e l'abbia uccisa. Ma le perizie scientifiche smontano la tesi.

L'11 marzo 1992 un commerciante tedesco di nome Roland Voller rivela ai magistrati che un 21enne, Federico Valle, sarebbe stato in via Poma all'ora del delitto e sarebbe tornato a casa con un braccio sanguinante: il sospetto è che abbia ucciso Simonetta perché amante del padre Raniero e che sia stato aiutato dal portiere dello stabile. Ma il sangue di Valle non corrisponde a quello ritrovato su una porta.

Diciotto anni dopo, il 9 marzo 2010, Vanacore si uccide: mancano tre giorni alla sua deposizione in aula nel processo a carico di Raniero Busco, all'epoca fidanzato di Simonetta. Un evento che spinge l'opinione pubblica a chiedersi: ha portato con sé un segreto inconfessabile o è stato vittima di "20 anni di martirio", come lascia scritto in un biglietto trovato nella sua auto. Nel 2014 la Cassazione assolve Busco, in primo grado condannato a 24 anni, poi assolto in Appello: è il 26 febbraio 2014 quando la Suprema Corta conferma l'assoluzione.

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