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Morì a casa fidanzata, il papà di lei: "Giocavamo con pistola"

26 ottobre 2017 | 17.06
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Marco Mannini, foto 'Chi l'ha visto'
Marco Mannini, foto 'Chi l'ha visto'

"Stavamo giocando goliardicamente. Marco voleva vedere la pistola, ho 'scarrellato' e ho premuto il grilletto, tutto in una frazione di un secondo". Questa la ricostruzione fatta in aula dal sottufficiale della Marina Antonio Ciontoli nel corso del processo davanti alla Corte d'Assise per l'omicidio del ventunenne Marco Vannini, ucciso la sera del 17 maggio 2015 da un colpo di pistola, mentre si trovava a casa della fidanzata a Ladispoli. Sotto processo, oltre a Ciontoli, ci sono i figli Federico e Martina, all'epoca dei fatti fidanzata della vittima, e la moglie, accusati di concorso in omicidio volontario.

"Non sono mai stato un esperto di armi – ha spiegato in aula - Stavamo solo scherzando, è stato un incidente". A più riprese Ciontoli ha detto di vergognarsi per quello che ha fatto. "Mi vergogno di quello che ho fatto. Non ho chiamato subito il 118 – ha detto Ciontoli raccontando della sera in cui Marco è stato raggiunto dal colpo di pistola - perché prima lo volevo far calmare e volevo portarlo io in ospedale per parlare con il medico e chiedergli se con un piccolo intervento si poteva risolvere. Pensavo si trattasse di una cosa lieve e non ho mai pensato che potesse morire".

"Non volevo fare uscire la notizia, volevo tenere la vicenda riservata. Ho fatto una grossa stupidata, ero preoccupato per tutto, anche per il mio lavoro. Ho rovinato la vita a tante persone, alla famiglia di Marco e alla mia. Mi sento - ha detto in aula - un uomo finito, la mia vita è finita".

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