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Eutanasia e accanimento terapeutico: la differenza

16 novembre 2017 | 15.18
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Il tema del fine vita torna a far discutere. In un messaggio diffuso oggi il Papa spiega che è "moralmente lecito" rinunciare all'accanimento terapeutico compiendo "un'azione che ha un significato etico completamente diverso dall'eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte". Ma qual è la differenza tra accanimento terapeutico e eutanasia? Mentre il primo consiste nell'esecuzione di trattamenti di documentata inefficacia rispetto all'obiettivo terapeutico, eseguiti nel tentativo di prolungare la vita del paziente ad ogni costo, la seconda consente di procurare intenzionalmente la morte di un soggetto consenziente.

ACCANIMENTO TERAPEUTICO - L'accanimento terapeutico - spiega l'enciclopedia Treccani - è l'ostinazione nell'impartire trattamenti sanitari che risultano sproporzionati in relazione all'obiettivo terapeutico, nel tentativo di prolungare la vita a ogni costo. L'obiettivo terapeutico non può mai essere una decisione univoca del medico ma deve sempre essere concordato con la persona malata. Nella scelta delle terapie infatti possono esservi elementi di complessità tecnica tali da determinare, in concreto, una diversità di approccio tra il medico, che ha la conoscenza scientifica, e il paziente, che spesso ne è privo.

L'opinione del paziente di fronte alle cure può prescindere dalla loro reale efficacia e può essere legata a convinzioni personali che possono fargli ritenere un intervento medico anche ordinario sproporzionato per il proprio progetto di vita. Quindi l'accanimento terapeutico non può essere valutato solo con parametri tecnici e oggettivi ma deve tenere conto della visione della vita del singolo individuo. Per questo esso si associa con il cosiddetto consenso informato. Caso per caso il medico stabilisce insieme al paziente se un intervento sia accettabile oppure se una terapia sia futile o inutile rispetto all’efficacia e agli obiettivi che ritiene di poter prevedere.

Esiste un consenso pressoché unanime circa l'illiceità etica, deontologica e giuridica di questa pratica, che proprio in quanto consistente in un'insistenza sproporzionata e futile rispetto al raggiungimento di ogni obiettivo, non si può definire una pratica terapeutica. La rinuncia all'accanimento tuttavia - spiega ancora la Treccani - non legittima la sospensione delle cure ordinarie necessarie a un accompagnamento dignitoso del morente. Tra queste si discute se vadano incluse l'idratazione e l'alimentazione artificiale, quando non risultino gravose per il malato o l’organismo non sia più in grado di recepirle.

EUTANASIA - L'eutanasia rimanda invece ad un'azione od omissione che, per sua natura e nelle intenzioni di chi agisce (eutanasia attiva) o si astiene dall'agire (eutanasia passiva), procura anticipatamente la morte di un malato allo scopo di alleviarne le sofferenze. In particolare, l'eutanasia va definita come l'uccisione di un soggetto consenziente, in grado di esprimere la volontà di morire, o nella forma del suicidio assistito (con l'aiuto del medico al quale si rivolge per la prescrizione di farmaci letali per l'autosomministrazione) o nella forma dell'eutanasia volontaria in senso stretto, con la richiesta al medico di essere soppresso nel presente o nel futuro. L'uccisione medicalizzata di una persona senza il suo consenso, infatti, non va definita eutanasia, ma omicidio tout court, come nel caso di soggetti che non esprimono la propria volontà o la esprimono in senso contrario.

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