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Banche venete, tutte le 'anomalie' dei due processi

09 febbraio 2018 | 17.46
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Banche venete, tutte le 'anomalie' dei due processi

La giustizia è uguale per tutti, o forse no se ci si trova nei panni degli ex azionisti di Veneto Banco e Banca Popolare di Vicenza. Le vicende per i due istituti di credito sono simili, se si guarda al codice penale, ma nelle aule di giustizia il destino per le vittime del crac finanziario, circa 200mila gli ex soci, sembra aver preso strade diverse. E con esiti contrastanti per chi - circa 9.500 le parti civili presenti nei due procedimenti - ha investito con lo stesso rischio. L'ultimo 'paradosso' è quello dei due giudici che si sono espressi in modo opposto sullo stesso decreto e su chi possa essere chiamata a farsi carico dei danni eventualmente riconosciuti. "Ma è solo l'ultima anomalia", a sentire i tanti avvocati presenti, "di una vicenda che mostra tutte le storture della giustizia".

La sede - La prima differenza è la sede in cui si celebra l'udienza preliminare: a Vicenza per la banca allora guidata da Gianni Zonin, 'in trasferta' a Roma per l'istituto con sede a Montebelluna.

Gli indagati - In quest'ultimo caso a rispondere, a vario titolo, di ostacolo alle attività di vigilanza e aggiotaggio, ci sono diversi ex responsabili a partire dall'ex amministratore delegato Vincenzo Consoli, finito agli arresti domiciliari nelle fasi iniziali dell'inchiesta, ma non Veneto Banca. La tesi accusatoria è che a beneficiare dei presunti illeciti per evitare il fallimento - le azioni sarebbero state cedute ai clienti in cambio di finanziamenti concessi a questo scopo - sarebbero stati i soli vertici. A Consoli e altri ex manager sono stati sequestri beni per 45 milioni di euro, l'istituto di credito non risulta indagato.

Le responsabilità - Sorte diversa per BpVi che deve rispondere della legge 231 sulla responsabilità degli enti e nei confronti della quale sono scattati sequestri per 100 milioni circa, quasi intatto invece il patrimonio dell'ex presidente Zonin e dell'ex direttore generale Samuele Sorato. Anche questa inchiesta è per aggiotaggio e ostacolo alle attività di vigilanza e falso in prospetto: nel mirino i prezzi delle azioni (poi azzerate) e i cosiddetti 'prestiti baciati', ovvero l'acquisto di azioni in aumento di capitale con finanziamenti da parte della stessa banca.

I due giudici - Sono gli ex azionisti, però, a incorrere potenzialmente nelle differenze maggiori. Il gup di Vicenza, Roberto Venditti, ha dichiarato i napplicabile la richiesta di responsabilità civile nei confronti di Intesa Sanpaolo, Bankitalia e Consob. I tre soggetti non possono essere citati in giudizio con richieste di risarcimento danni da chi ha visto azzerati i propri investimenti. Per il giudice la cessione a 1 euro degli asset della popolare, avvenuta nell'ambito della liquidazione ordinata, ricomprende il diritto al risarcimento dei danni subiti. Stesso discorso per chi ha accettato l'offerta pubblica di transazione per risolvere ogni contenzioso.

Di parere opposto il gup di Roma, Lorenzo Ferri, che ha disposto la citazione in giudizio di Intesa Sanpaolo quale responsabile civile. Oltre ad alcuni dubbi sulla legittimità costituzionale del decreto, il giudice si appella all'articolo 2560 del codice civile per sostenere la possibilità di agire per gli ex soci di Montebelluna. "Mentre il gup di Roma ha correttamente chiamato Intesa Sanpaolo a rispondere, quello di Vicenza si è voluto ingerire di interpretazioni spettanti alla Corte Costituzionale facendo proprie le deduzioni del consigliere delegato Messina", spiega l'avvocato Sergio Calvetti, che sta seguendo circa 6mila azionisti delle ex popolari. La partita si giocherà "nei tribunali e nelle cause civili dove Intesa - chiosa il legale - verrà chiamata direttamente dagli azionisti e obbligazionisti a rispondere".

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