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Sta bene primo trapiantato fegato da donatore Hiv-positivo

23 maggio 2018 | 19.47
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Immagine di repertorio (Fotogramma)
Immagine di repertorio (Fotogramma)

Ad un anno dal primo trapianto di fegato da donatore con infezione da Hiv in ricevente sieropositivo, eseguito all’ospedale Niguarda di Milano dall’équipe diretta da Luciano De Carlis, "il paziente che ha ricevuto l'organo sta bene e conduce una vita normale". Il punto su questo innovativo intervento è stato fatto durante la decima edizione dell'Italian conference on Aids and Antiviral Research (Icar), in corso a Roma sino a domani, dove sono stati presentati i risultati del follow up ad un anno dal trapianto.

"Il paziente ha ricevuto l’organo grazie ad una deroga del Nord Italian Transplant e del Centro nazionale trapianti al regolamento nazionale per la certificazioni degli organi trapiantati, che nel 2017 non contemplava la possibilità di utilizzare organi di donatori con infezione da Hiv", ha ricordato Massimo Puoti, componente della Società italiana malattie infettive e tropicali (Simit), promotrice di Icar.

"L’urgenza del trapianto era dettata dal fatto che il ricevente era affetto da una forma recidivante di cancro del fegato che complicava una cirrosi da virus B e Delta, per il quale il trapianto rappresentava l’unica soluzione curativa. L’impiego di terapie antivirali e terapie immunosoppressive ha consentito un decorso regolare con un controllo del rigetto dell’infezione da Hiv ed una prevenzione dell’infezione da virus B e delta del paziente trapiantato".

Lo scorso 8 marzo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il protocollo che ha definitivamente introdotto la possibilità di trapiantare organi tra soggetti con infezione da Hiv. "E’ stata così portata nella ‘routine’ trapiantologica una novità davvero positiva, che potrebbe permettere grazie alla implementazione diffusa del protocollo tempi di intervento molto più brevi per i pazienti con Hiv in attesa di un trapianto - ha sottolineato Puoti - Questa opportunità di cura andrebbe ora implementata diffondendo tra le persone con Hiv la consapevolezza di poter divenire donatori in favore di altre persone sieropositive".

La disponibilità delle terapie antiretrovirali ha determinato un’importante diminuzione della mortalità per la malattia da Hiv nelle persone con l’infezione. La morte delle persone con infezione è pertanto correlata ad altre patologie concomitanti: tra queste, l’insufficienza epatica dovuta a cirrosi o il cancro del fegato e l’insufficienza renale, le quali sono più frequenti nelle persone con Hiv che nella popolazione generale. Lo scompenso cardiaco e l’insufficienza polmonare - hanno evidenziato gli esperti intervenuti all'Icar - hanno una frequenza simile alla popolazione generale. Per questo motivo, all’inizio degli anni 2000, sono stati avviati in molti paesi del mondo, tra cui l’Italia, programmi per il trapianto di fegato, rene, cuore e polmone nei pazienti con infezione da Hiv.

I risultati di questi programmi sono stati sovrapponibili a quelli registrati nei pazienti senza infezione da Hiv, in particolare nei trapianti di fegato. Alla base di questo successo, la disponibilità dei nuovi farmaci anti Hcv - hanno evidenziato gli specialisti - È infatti adesso possibile eradicare l’epatite C a partire da otto settimane grazie alle nuove molecole. I nuovi farmaci sono già disponibili nei centri pubblici nelle diverse unità operative complesse degli ospedali, di infettivologia, epatologia e medicina interna.

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