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Roma: famiglie Casapound rompono silenzio, 'noi in strada, ci hanno aiutato solo loro'

27 ottobre 2018 | 18.25
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Roma: famiglie Casapound rompono silenzio, 'noi in strada, ci hanno aiutato solo loro'

"A me ha aperto le porte solo Casapound". A parlare è Mario, 86 anni. Vive nello stabile occupato di via Napoleone III dal 2003. Prima con lui c'era la moglie, da due mesi è rimasto vedovo e ora divide l'appartamento solo con il figlio e la nuora. Quando racconta la sua storia si commuove: "Ho fatto l'operaio per 60 anni. Poi sono finito nei guai, e ho passato tre anni in carcere. Quando sono uscito non avevo più nulla, vivevo in una pensione qui vicino: il proprietario è un mio amico, mi ospitava gratis".

"Quando ho sentito che nel mio rione avevano occupato questo palazzo abbandonato, sono venuto e ho bussato - ricorda - Mi hanno detto 'sali e scegliti un appartamento'. Da allora vivo qui. Con poco più di 600 euro di pensione riesco a pagare le bollette, le medicine, a fare un po' di spesa e a comprare i fiori a Sant'Antonio. Quelli li voglio freschi ogni giorno, magari non mangio ma ai fiori non ci rinuncio. E' lui che mi ha protetto, Sant'Antonio, lui e questi ragazzi qui, che mi hanno dato una casa e non mi hanno chiesto niente in cambio. Mi hanno salvato la vita".

Mario è solo uno dei 18 occupanti di Casapound. Con altre due famiglie italiane che vivono nello stabile di via Napoleone III, ha deciso di rompere un silenzio e un anonimato che dura da 14 anni e ha aperto le porte di casa sua alla stampa per provare a smontare il ‘caso’ nato in questi giorni per l'indagine della Corte dei Conti e il rinvio dell’ispezione della Guardia di finanza che si è poi svolta ieri. Il riserbo, il timore di farsi riprendere o di esporsi, nasceva non solo dal desiderio di non mettere i propri guai in piazza ma anche dalla necessità di evitare di diventare bersagli di aggressioni o intimidazioni. "Ma a questo punto non ho più niente da perdere - spiega - Alla mia età che posso fare? Raggi dice che ci devono sgomberare ma io da questa casa non me ne vado. Ci ho fatto i lavori, l'ho sistemata con le mie mani, ci ho investito quel poco che avevo. E poi lo sa che questo palazzo è del Demanio? Significa che è anche mio, che l'ho pagato con i miei 60 anni di lavoro".

Tra i residenti che hanno deciso di aprire le porte alla stampa c’è anche Laura: 40enne, casalinga, con il marito operaio e due figlie piccole, un mutuo per una casa non riusciva proprio a ottenerlo, così si sono sistemati a Casapound. Patrizio, invece, precario, nato e cresciuto all’Esquilino da una famiglia di residenti storici del rione, in via Napoleone III ci era arrivato con i genitori. Ora, da quando il padre è morto, divide l’appartamento con l’anziana madre nullatenente: "Se ci cacciassero da qui, non saprei come fare", spiega.

Ed è proprio questo che rimarca il segretario nazionale di Casapound Italia Simone Di Stefano: "Per rispondere all’emergenza abitativa non si sgomberano le famiglie per buttarle in mezzo a una strada, serve l’edilizia pubblica residenziale, quelle case popolari che a Roma non si costruiscono più da vent’anni, e serve il Mutuo sociale. Alla Raggi, che avevamo invitato ma non è venuta a trovarci, e anche al ministro dell’Interno, ricordiamo che serve un piano casa. La nostra storica proposta di legge che a costo zero per lo Stato consentirebbe a tanti italiani di diventare proprietari di casa. Così come la Costituzione comanda". Quanto alle 18 famiglie che vivono a via Napoleone III, Di Stefano sottolinea: "Serve una soluzione vera, delle case per le persone, mentre finora quello che ho visto dopo gli sgomberi sono famiglie smembrate, con mariti separati da moglie e figli e cani spediti al canile".

L'iniziativa di oggi per Di Stefano è servita a spegnere ogni polemica: "Si è cercato di far passare il messaggio che dentro lo stabile di via Napoleone III si nascondesse chissà cosa. Per questo era giusto riaprire i portoni e far vedere che invece non c’è altro che quello che ora attesta anche un verbale della Gdf: 18 famiglie in stato di emergenza abitativa, ognuna con il suo appartamento dignitoso rimesso in sesto grazie al proprio lavoro, una sala conferenze, peraltro immortalata dalle telecamere di mezzo mondo, e una piccola portineria, dove i ragazzi di Casapound fanno i turni per evitare che qualche imbecille dei centri sociali assalti il palazzo”.

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