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Provenzano jr: "Di Maio non lo commento"

23 novembre 2018 | 20.05
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(Fotogramma)
(Fotogramma)

"Non voglio parlare di Di Maio a Corleone. Non voglio parlare di elezioni. Dico solo che domenica non andrò a votare, non voto da molti anni. Perché non appena manifesto un mio parere viene sempre strumentalizzato. Perché nel nome del diritto di cronaca devo fare 'notizia'. E sono stanco. Io sono incensurato, non ho mai avuto problemi con la giustizia. Eppure vivo con un 'marchio' a fuoco sulla mia pelle". Angelo Provenzano è il figlio maggiore di Bernardo Provenzano. Vive a Corleone con il fratello Francesco Paolo, laureato in lingue e lettere moderne, e la madre, Saveria Palazzolo.

"Dopo sedici anni di 'latitanza' quando siamo tornati a Corleone con la mia famiglia - dice in una intervista esclusiva rilasciata all'Adnkronos - volevo vivere una vita normale. Ma non è stato possibile, perché la stampa mi ha reso 'anormale'. In ogni mio movimento. Io voglio solo essere lasciato in pace, non chiedo altro. Volevo insomma la normalità e non ce l'ho neppure dopo la morte di mio padre".

Angelo Provenzano, che collabora con un tour operator americano ("ma non faccio alcun tour della mafia", tiene a precisare con forza), chiede, anzi "pretende" di "essere considerato un cittadino come tutti gli altri". E sottolinea: "Un cittadino con la fedina penale, linda, pulita". E aggiunge: "Si fanno ogni anno le commemorazioni per la Shoah, oppure la Giornata contro le discriminazioni razziali. Ecco, anche questa è discriminazione. Esattamente quanto le altre. Perché, pur non avendo mai commesso un reato, è sempre presente il sospetto in virtù di mio padre. E' una vita difficile. E questo mi fa stare male". Angelo Provenzano è una persona molto discreta, non ama farsi intervistare, non ama farsi fotografare o apparire in generale. "Voglio solo vivere una vita normale - ripete come un mantra - Ma è impossibile".

Proprio di recente la Cedu, la Corte europea dei diritti umani, ha condannato l'Italia perché decise di continuare ad applicare il regime duro carcerario del 41 bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 alla morte del boss mafioso, avvenuta 4 mesi dopo. Secondo i giudici, il ministero della Giustizia italiano ha violato il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Allo stesso tempo la Corte di Strasburgo ha affermato che la decisione di continuare la detenzione di Provenzano non ha leso i suoi diritti.

Provenzano morì il 13 luglio 2016 mentre era detenuto al regime di 41 bis nell'ospedale San Paolo di Milano. Il decesso arrivò dopo un lungo periodo di malattia e numerose polemiche sulle sue condizioni di detenzione. Prima della morte i medici gli avevano diagnosticato un grave stato di decadimento cognitivo, lunghi periodi di sonno, rare parole di senso compiuto, eloquio assolutamente incomprensibile, quadro neurologico in progressivo, anche se lento, peggioramento.

Nelle loro conclusioni i medici dichiaravano il paziente "incompatibile con il regime carcerario", aggiungendo che "l'assistenza che gli serve è garantita solo in una struttura sanitaria di lungodegenza". Di parere diverso i provvedimenti del ministero della Giustizia, che si fondavano sui pareri della direzione distrettuale antimafia di Palermo e della direzione nazionale antimafia.

"Io mi sono rivolto alla Cedu con il legale di famiglia, l'avvocato Rosalba Di Gregorio - racconta Provenzano - non per un desiderio di vendetta o richiesta di pietà, ma per chiedere l'applicazione di un diritto che è stato negato a mio padre. A cui non è stato permesso di morire in un regime diverso dal 41 bis. Se la legge è uguale per tutti perché a Erich Priebke, condannato all'ergastolo per l'uccisione di 350 persone, è stato concesso di morire agli arresti domiciliari, mentre a mio padre è stato applicato il 41 bis fino alla morte?".

E ancora sulla Cedu: "Se l'Italia non è d'accordo con questa sentenza facesse appello - dice Angelo Provenzano - è previsto dalla legge. C'è un altro grado di processo". E tiene a sottolineare di non avere "mai pensato a un risarcimento di denaro", perché "non è quello che mi interessava - spiega - Io volevo solo giustizia. Perché negli ultimi anni mio padre non era più in grado di capire ciò che gli succedeva, era gravemente malato. Eppure è rimasto al 41 bis, al carcere duro". "Ci sono state molte polemiche ma io ho semplicemente rimesso ad una autorità competente il dubbio sul trattamento ricevuto da mio padre. E, quindi, non ho mai pensato a un risarcimento di denaro", sottolinea.

E il legale di famiglia, l'avvocato Rosalba Di Gregorio, ricorda quella volta in cui lo andò a trovare a Parma per fargli firmare dei documenti e lo trovò con un grave deficit cognitivo. Successivamente lo trovò con le sbarre al letto. "Come se potesse scappare...", dice lei. "Era una persona che ormai non riusciva più a riconoscere neppure i suoi cari". "Noi non abbiamo mai fatto istanza di scarcerazione - dice Angelo Provenzano - ma volevamo solo una detenzione più adeguata per la sua gravissima malattia".

"Noi chiedevamo una modifica della misura detentiva - sottolinea l'avvocato che ha seguito Provenzano per molti anni, fino alla sua morte - In quelle condizioni di salute era impossibile restare ancora al 41 bis. Eppure ci hanno rigettato tutte le richieste. E ora la Cedu ci ha dato ragione".

"Sono arrabbiato - dice ancora Provenzano - perché è giusto fare espiare una pena se hai una condanna ma se sei in grado di espiarla quella pena. Mio padre non era più lui da anni. Non ci riconosceva più, non camminava più. Che senso ha questo accanimento?...". "L'Italia ha sbagliato", aggiunge, "ed è giusto che la Cedu abbia censurato il comportamento dell'Italia".

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