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Mafia Capitale, "Carminati intimidiva e Buzzi corrompeva"

11 dicembre 2018 | 10.56
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(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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"Carminati conferì la sua forza di intimidazione e Buzzi conferì l'organizzazione delle cooperative e il collaudato sistema di corruttela e prevaricazione". Lo scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza di appello del processo a Mafia Capitale che lo scorso 11 settembre ha ribaltato la decisione presa in primo grado riconoscendo il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e condannando fra l’altro l’ex terrorista dei Nar Massimo Carminati e il ras delle coop romane, Salvatore Buzzi, rispettivamente a 14 anni e mezzo e a 18 anni e 4 mesi.

"Ai fini della sussistenza del delitto di associazione mafiosa - si legge nelle motivazioni - non è rilevante né il numero modesto delle vittime (che il tribunale ha indicato nel numero di 11) né il limitato contesto relazionale e territoriale. Non può escludersi il carattere mafioso della nuova associazione perché non sono elementi costitutivi di tale elemento né il controllo generale del territorio né una generalizzata condizione di assoggettamento e omertà della collettività. Nella associazione Carminati conferì la sua forza di intimidazione e Buzzi conferì l'organizzazione delle cooperative e il collaudato sistema di corruttela e prevaricazione".

"Elementi di fatto a conferma del carattere mafioso dell’associazione - scrivono i giudici fra le 590 pagine delle motivazioni - possono trarsi anche dalla protezione garantita a imprenditori e dal successivo inserimento nella loro attività con un rapporto caratterizzato dalla gestione di affari in comune. Nel paragrafo 'L’offerta di protezione' sono menzionati altresì gli interventi Carminati a favore di Lorenzo Alibrandi, Marco Iannilli, Cristiano Guarnera, Luca Gramazio e Riccardo Mancini che a lui si erano rivolti per avere protezione".

"Nel paragrafo 'L’omertà' - si legge ancora - si dà rilievo al fatto che nell’orbita del distributore di benzina di Corso Francia non furono presentate denunce delle violenze e intimidazioni subite e nel settore della pubblica amministrazione nessuno, e nemmeno gli imprenditori che avevano rinunciato a gare di appalti, presentò atti di denuncia o manifestò dissenso. Questa condizione di assoggettamento e di omertà derivante dalla forza intimidatrice espressa dall’associazione emerse soltanto grazie alle intercettazioni telefoniche".

Nelle 590 pagine delle motivazioni si legge ancora: "Carminati e Buzzi ebbero contatti ed esercitarono pressione per le nomine e i posti chiave dell'amministrazione capitolina avendo interesse alla elezione e alla collocazione di soggetti affidabili nei ruoli decisionali. Gli interventi per posizionare in ruoli strategici persone gradite sono significativi della forza prevaricatrice dell'associazione nei confronti dei pubblici amministratori, mentre l'eliminazione dei personaggi scomodi e non graditi è una forma di prevaricazione esercitata anche nei confronti degli imprenditori".
E ancora: "Buzzi in alcune situazioni di contrasto o difficoltà chiese espressamente l'intervento di Carminati per la sua forza di convincimento riconosciuta all'esterno. Carminati si inseriva quindi nel mondo imprenditoriale quando l'attività corruttrice di Buzzi non era sufficiente assicurandogli la soluzione dei casi più difficili e rilevanti con una provvista di violenza e capacità criminali".

RAGGI - "I criminali del Mondo di Mezzo agirono da mafiosi. Le motivazioni della sentenza di secondo grado confermano che quel sodalizio fece leva su intimidazioni e omertà per imporre le proprie regole, assoggettare imprenditori e uomini delle istituzioni". Lo dichiara la sindaca di Roma Virginia Raggi.

"Voglio ringraziare i magistrati per la loro azione caparbia e incessante nel rivelare questo malaffare. La legalità è l’unico argine comune tra cittadini e Istituzioni per combattere le mafie. Oggi da Ostia, con l’abbattimento di uno stabilimento abusivo, primo passo per la demolizione del lungomuro, dimostriamo che questa battaglia contro le mafie e l'illegalità si può vincere”, conclude.

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