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Calabria, obbligo di dimora per il governatore Oliverio

17 dicembre 2018 | 10.42
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(Foto Fotogramma/Ipa)
(Foto Fotogramma/Ipa)

Falso, corruzione e frode in pubbliche forniture. Sono queste le accuse contestate a Mario Oliverio, presidente della Regione Calabria, per il quale è scattato l'obbligo di dimora nella sua abitazione a San Giovanni in Fiore nel cosentino.

Sono 16 in tutto le misure cautelari emesse nei confronti di esponenti politici, dirigenti pubblici, funzionari e un imprenditore legato alla cosca Muto nell'ambito di un'inchiesta su falso, corruzione, abuso d'ufficio e frode in pubbliche forniture in Calabria. I finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria di Cosenza hanno eseguito le misure cautelare, nelle province di Cosenza, Catanzaro e Roma. Il provvedimento è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro, Pietro Carè, su richiesta della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro diretta dal procuratore Nicola Gratteri.

"Di fronte ad accuse infamanti ho deciso di fare lo sciopero della fame. La mia vita e il mio impegno politico e istituzionale sono stati sempre improntati al massimo di trasparenza, di concreta lotta alla criminalità, di onestà e rispettosa gestione della cosa pubblica", ha detto Oliverio aggiungendo: "I polveroni sono il vero regalo alla mafia. Tra l'altro l'opera oggetto della indagine non è stata appaltata nel corso della mia responsabilità alla guida della Regione. Quanto si sta verificando è assurdo. Non posso accettare in nessun modo che si infanghi la mia persona e la mia condotta di pubblico amministratore. Sarebbe - conclude Oliverio - come accettare di aver tradito la fiducia dei cittadini. Chiedo chiarezza! Lotterò con tutte le mie energie perché si affermi la verità".
Dall'indagine, denominata 'Lande Desolate', sono emerse irregolarità nell'ammodernamento dello scalo aereo di Scalea e degli impianti sciistici di Lorica e anche nella successiva fase di erogazione di finanziamenti pubblici. Le indagini sono state condotte con l'ausilio di articolate tecniche e rilevamenti aerofotografici, che hanno consentito di ricostruire e riscontrare documentalmente le irregolarità. In particolare, le investigazioni, basate su una copiosa attività di riscontro documentale e sui luoghi di cantiere, hanno fatto emergere il completo asservimento di pubblici ufficiali, anche titolari di importanti e strategici uffici presso la Regione Calabria, alle esigenze di un imprenditore". Questo, avveniva, secondo gli investigatori, attraverso "una consapevole e reiterata falsificazione dei vari stati di avanzamento lavori ovvero l'attestazione nei documenti ufficiali di lavori non eseguiti al fine di far ottenere all'imprenditore l'erogazione di ulteriori finanziamenti comunitari altrimenti non spettanti".
Emblematica, spiegano gli investigatori, "la spregiudicatezza che caratterizzava l'agire dell'imprenditore romano spinta al punto di porre in essere condotte corruttive nei confronti di pubblici funzionari, finalizzate al compimento di atti contrari ai doveri d'ufficio consistenti in una compiacente attività di controllo sui lavori in corso, nell'agevolare il pagamento di somme non spettanti ovvero nel riconoscimento di opere complementari prive dei requisti previsti dal codice degli appalti oltre al mancato utilizzo di capitali propri dell'impresa appaltatrice in totale spregio degli obblighi previsti dai bandi di gara". Le indagini hanno fatto emergere, inoltre, come l'imprenditore romano, nei confronti del quale è stata contestata l'aggravante dell'''agevolazione mafiosa'', "abbia impegnato poche decine di migliaia di euro a fronte di diversi milioni di euro previsti dai bandi di gara, circostanza ampiamente conosciuta e avallata dai soggetti preposti al controllo e alla erogazione delle somme, e dalle figure politiche coinvolte.

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