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Mannino: "Andreotti? Non era Belzebù"

15 gennaio 2019 | 17.14
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(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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di Elvira Terranova

"Di una cosa sono certo: nessuno dei tratti della demonizzazione che hanno tentato di fare con Andreotti risponde a verità. Lui non ha mai incontrato il boss Bontade. Era un personaggio così complesso e maturo da non avere nessuna ragione da incontrare Bontade. Insomma, Andreotti non era Belzebù". Calogero Mannino, che ad agosto compirà 80 anni, ex democristiano di ferro, è stato più volte ministro con Giulio Andreotti Presidente del Consiglio. In occasione dei cento anni dalla nascita diAndreotti, Mannino ricorda in una intervista all'Adnkronos la figura del suo ex leader di partito.

A partire dall'inizio della sua carriera politica nella vecchia Democrazia cristiana: "Parto da un punto distante - dice - cioè la mia collocazione, il mio crescere dentro la Dc, nel senso anagrafico, da ragazzino dell'azione cattolica. La posizione di Andreotti è sempre stata guardata con ammirazione, ricordo ad esempio il congresso di Firenze del 1959, ma al tempo stesso con distanza, Noi ragazzi dell'azione cattolica eravamo dossettiani".

"Da questo punto di partenza, di grande distanza pur accompagnata da una notevole considerazione della personalità di Andreotti, negli ultimi anni, avendo fatto parte del governo di Andreotti, sono passato a una consapevolezza più matura e più critica della funzione e della posizione di Andreotti", dice Mannino.

"Non solo nella storia della Dc ma nella storia del paese. Al punto tale che dico: Su Andreotti pesano due pregiudiziali: una negativa, che è quella che gli hanno creato come immagine di questo brutto film di Sorrentino ('Il Divo', ndr) e l'altra con il 'santino' - racconta ancora Calogero Mannino -. Andreotti non è certamente Belzebù, e un po' difficile è anche la figura del 'santino', perché nonostante i processi di beatificazione di Sturzo e Moro, ritengo che le prove della politica non consentano una adesione al modulo della santità".

"La differenza" tra il periodo in cui c'era Giulio Andreotti e oggi "è che prima c'era la politica. Non so più se in questi 25 anni c'è stata". "Nel 1992 il simulato colpo di stato compiuto contro l'italia (le stragi mafiose ndr) ha disabilitato il paese dalla politica internazionale. E ha disabilitato la politica in Italia" aggiunge l'ex ministro. Assolto in via definitiva dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, Mannino si dice certo che "i processi politici che si originano nel 1992, da Andreotti a quello a mio carico sono due episodi di questo simulato colpo di stato". Oggi è sotto processo, in appello, nello stralcio del processo per la cosiddetta trattativa tra Stato e mafia. In primo grado venne assolto.

"Un tratto importante di tutta la politica italiana, dovrei dire in ogni tempo, ma certamente nel secondo dopoguerra è la politica estera. Perché sulla politica estera all'interno della Dc i tre personaggi più rilevanti, dopo De Gasperi, ovviamente, sono stati: Moro, Fanfani e Andreotti, con tre storie diverse, con personalità diverse" spiega ancora Mannino. "Sia Andreotti che Moro entrarono nelle liste della Dc per un intervento diretto e quasi autoritario, specie nel caso di Moro, di Montini - prosegue -. Furono Montini e l'arcivescovo di Bari che lo sollecitarono e lo indussero ad accettare la candidatura nella Dc. Moro e Andreotti avevano in comune l'esperienza nella Fuci".

E parla soprattutto della polita estera adottata da Andreotti, Fanfani e Moro in quegli anni: "Quando si guarda Moro, Andreotti e Fanfani - dice l'ex ministro - singolarmente, c'è una coincidenza totale. Americani sì, ad esempio, ma solo in quanto amici. Quindi, con l'implicita scelta di non essere vassalli, di essere amici leali. Ma come ogni amico, e a turno Fanfani, Moro e Andreotti hanno esercitato questo criterio". E racconta un aneddoto: "Quando Kennedy stava andando a Cuba, Fanfani intervenne, facendo presente agli americani che stavano facendo una cavolata". "Quando gli americani si impegnarono oltremodo in Vietnam, Moro fece presente la difficoltà di condividerli senza fare venire meno la solidarietà dell'Italia agli Stati uniti - racconta ancora Mannino - Moro, Fanfani e Andeeotti hanno sempre condiviso una linea politica estera rivolta alla ricerca della pace, quindi per Roma è sempre passata una linea di dialogo con il comunismo di Mosca".

"Giulio Andreotti ha interpretato la politica estera con i tratti della sua personalità. Ricordo perfettamente un episodio che risale al 1987, quando arrivò davanti alle acque di Lampedusa un missile dalla Libia. Io, che ero ministro, feci un intervento molto forte in Consiglio dei ministri lamentandomi di quanto avvenuto. Ma Andreotti calmò gli animi e disse: Signori, è solo una 'bombetta'', e così fece diventare la mia sortita in Cdm solo un piccolo episodio che non meritava attenzione, perché c'era un interesse più grande, diverso e contrapposto alla mia presa di posizione. Insomma, Gheddafi non andava toccato" ricorda Mannino. "A quei tempi, la politica estera italiana è sempre stata nel quadro della solidarietà della Nato, una politica attiva nella tutela dei propri interessi. Tenuto conto che i francesi non scherzavano. Specie in ordine alla questione libica. E Andreotti ha interpretato questa linea con i tratti della sua personalità".

Mannino racconta poi un altro episodio risalente, questa volta, al 1981 quando Mannino era ancora ministro. "In quel periodo gestivo per conto del Governo una trattativa con il Marocco per un complesso di accordi importanti sulla pesca e altro. Andreotti era Presidente della Commissione Esteri - ricorda - Andreotti mi fece una telefonata e mi disse: 'So che parti per Rabat, io ho un buon rapporto con il Nunzio apostolico di Rabat, l'ho chiamato egli ho detto che stai andando a Rabat'. A quel punto, al mio arrivo a Rabat chiedo all'ambasciatore di allora di presentarmi il Nunzio apostolico. Lo andai a trovare e lui mi diede le dritte necessarie per i miei interlocutori". "Andreotti - prosegue Mannino - era un politico che conosceva il mondo, non solo perché conosceva la politica, ma perché era un uomo del vaticano. Aveva una duplicità di funzioni e incarichi, era in condizione di gestire questo universo dello Stato".

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