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Terrorismo

Caso Moro, l'ex 007: "Su Casimirri nessun depistaggio"

22 gennaio 2019 | 16.51
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(Fotogramma)
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La missione in Nicaragua per convincere l'ex Br Alessio Casimirri a rientrare in Italia e a svelare i retroscena della sua fuga all'estero "non fu un depistaggio" ma "un'operazione di intelligence" che fallì per la volontà di qualcuno che evidentemente aveva paura di quanto il terrorista avrebbe potuto rivelare. Lo afferma all'Adnkronos Carlo Parolisi, l'agente del Sisde che nel 1993, insieme a Mario Fabbri e a un altro agente sotto copertura, visse in prima persona quella vicenda. Parolisi volò a Managua per una serie di incontri con l'ex Br che fu nel commando di via Fani e ne raccolse le confidenze, fino a quando, ribadisce ancora una volta, "quel maledetto scoop dell'Unità" che rivelò la collaborazione di Casimirri con i servizi non infranse la speranza di riportarlo in Italia.

A tirare in ballo la questione del depistaggio è stato Sergio Flamigni, che nel suo libro "Il quarto uomo del delitto Moro" (Kaos edizioni 2018), richiama una ricostruzione dello studioso Giuseppe De Lutiis, secondo cui il viaggio del Sisde in Nicaragua non era visto "a più alto livello come realmente inteso a ottenere l'espulsione di Casimirri" ma "ad acquisire informazioni o a tranquillizzare il terrorista", "se non a depistare la magistratura romana sull'identità del quarto uomo di via Montalcini". Parolisi è di tutt'altro avviso. In una replica inviata al "Fatto" dopo la pubblicazione di alcuni stralci del volume di Flamigni, assicura: "Non fummo inviati in missione, ma costruimmo noi stessi le premesse per effettuarla, nonostante i forti dubbi espressi dai vertici del Servizio".

Poi, all'Adnkronos, spiega: "La ritengo una interpretazione frutto di un pregiudizio, una forzatura non dovuta, se si leggono bene gli atti". D'altra parte, sottolinea, il problema è più generale: "In Italia manca una cultura dell'intelligence in senso ampio e i servizi, per errori commessi in passato, vengono associati troppo spesso a trame e depistaggi. Per esempio, si accetta come una cosa normale che Morucci abbia collaborato con l'autorità giudiziaria, ma una collaborazione con i servizi evoca senza tema di smentite trame oscure. Mi ricordo che quando Mario Mori portò al Sisde un ex terrorista che aveva scontato la sua pena per illustrare come venissero redatti i documenti Br a tanti sembrò una cosa scandalosa. Invece è normale, oltre che utile, e accade in tutti i paesi".

Secondo l'ex 007, nella nuova 'guerra' dichiarata dal governo ai latitanti degli anni di piombo, l'apporto dei servizi non è da sottovalutare. "L'intelligence potrebbe aiutare studiando singole situazioni, prendendo contatti" e "il governo, se avesse una visione strategica, potrebbe intraprendere davvero una campagna di questo genere, perché oggi sarebbe un traguardo a portata. E avrebbe anche un senso pacificatore, perché soddisfare le aspettative delle vittime e dei loro familiari è importante". E questo, sottolinea, a prescindere dalla politica, perché, "non si dice mai, ma la famosa dottrina Mitterand non si applicava solo ai terroristi di sinistra, ma anche a quelli di destra".

Quanto al contributo in termini di informazioni che potrebbe arrivare dai latitanti, "se si potesse svelare qualcosa sarebbe utile, certo - ammette l'ex 007 - ma ovviamente quello che potrebbero dare oggi non è il contributo che si poteva dare negli anni '90. Oggi parliamo di storia". In ogni caso, aggiunge Parolisi, "ben venga il chiarimento storico, anche quello chiesto da alcuni ex terroristi che hanno parlato in questi giorni, ma prima, a mio avviso, questi signori dovrebbero costituirsi, scontare la pena residua e, soprattutto, pagare i risarcimenti alle famiglie. Vorrebbero un'assoluzione preventiva sostenendo che le leggi erano eccezionali per cui hanno portato a condanne ingiuste, ma non è così. Almeno facciano un passo nel senso dello Stato".

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