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"Mancano le navi', l'allarme dei geologi marini

20 febbraio 2019 | 15.05
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Una comunità di marinai rimasta 'spiaggiata': è quella dei ricercatori italiani nelle scienze del mare incredibilmente rimasti senza navi con le quali svolgere le proprie ricerche. Il grido di allarme della comunità scientifica che riunisce ricercatori in una serie di discipline, come ad esempio la biologia marina, l'oceanografia fisica, la geologia marina e le tecnologie marittime, si leverà domani nel corso di una tavola rotonda, nell'ambito della due giorni del Terzo convegno dei geologi marini italiani presso la sede centrale del Cnr a Roma, alla quale prenderanno parte i gestori delle flotte francese, spagnola e norvegese.

Mentre in Europa è prassi comune avere flotte nazionali con almeno una decina di navi da ricerca di diverse dimensioni e capacità (costiere, mediterranee, oceaniche, polari) in Italia ormai ne sono rimaste tre, due costiere e una molto vecchia e in dismissione il prossimo anno. Quest'ultima sarà sostituita da una nave dedicata alla ricerca polare: ciò se da un lato per i ricercatori rappresenta un'ottima notizia, dall'altra lascia il Mediterraneo privo di una nave da ricerca italiana.

La ricerca sul mare è cruciale in tutti i paesi industrializzati: da una parte, osservano gli organizzatori dell'iniziativa, vi sono evidenti ragioni dirette come la gestione delle risorse della pesca, la comprensione dello stato di salute dei mari, degli effetti dei cambiamenti climatici, del reperimento di risorse minerarie ed energetiche o di molecole utilizzabili in farmacologia, della prevenzione dei georischi marini (maremoti e frane costiere ad esempio); dall’altra è il campo dove si sviluppano tecnologie e ricerche di punta che poi trovano applicazioni nell’industria e nella gestione marittima del territorio.

A livello comunitario, l’Europa sta spingendo tantissimo i finanziamenti di ricerca verso l’economia blu, nella convinzione che sempre di più lo sviluppo economico sarà legato al mare e alle sue risorse. Come sottolineano gli organizzatori del convegno, l’Italia, con i suoi 7.500 km di coste, con un territorio sommerso quasi doppio di quello emerso, una posizione centrale nel Mediterraneo ed una vocazione turistica e portuale, sembra chiamarsi fuori da questo campo, non per scelta strategica ma per disorganizzazione e mancanza di coordinamento delle autorità e degli enti preposti alla gestione dell’ambiente marino e delle attività economiche ad esso correlate.

Negli ultimi anni, ricordano i ricercatori, alla mancanza di coordinamento si è aggiunta la perdita delle navi: le università, per mancanza di finanziamenti dedicati, hanno venduto la nave che avevano, il Cnr ha avuto due incidenti (sfortunatamente anche mortali) uno dieci anni fa con lo speronamento da parte di una nave portacontainer e uno tre anni fa con l’affondamento della propria nave “ammiraglia” in un bacino di carenaggio.

L'Italia potrebbe e dovrebbe svolgere un ruolo di guida della ricerca scientifica nell’area del Mediterraneo dove non mancano elementi di pericolosità naturale, ma questo è ostacolato dalla mancanza di mezzi. "Immaginate i fisici nucleari senza sincrotroni, i biologi molecolari senza sequenziatori di Dna, i chimici senza laboratori sperimentali, i matematici senza super calcolatori - denuncia la comunità scientifica dei geologi marini - questa è la nostra condizione oggi; così la nostra comunità è destinata a morire in un campo di ricerca che invece nel resto del mondo è considerato cruciale ed è ovunque in piena espansione”.

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