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Cucchi, la verità del superteste

09 aprile 2019 | 06.46
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(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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di Daniele Dell'Aglio

"Innanzitutto voglio chiedere scusa alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria imputati al primo processo. Per me questi anni sono stati un muro insormontabile". In un’aula piena per la nuova udienza del processo Cucchi-bis in Corte di Assise a Roma, ieri è stato il giorno della deposizione del carabiniere Francesco Tedesco, il supertestimone che ha rivelato a nove anni di distanza che il geometra 31enne venne 'pestato' da due suoi colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, imputati come lui di omicidio preterintenzionale. Tedesco è accusato anche di falso e calunnia insieme con il maresciallo Roberto Mandolini, mentre della sola calunnia risponde il militare Vincenzo Nicolardi.

Il superteste ha ricordato le fasi del pestaggio di Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre del 2009 per droga e morto una settimana dopo all'ospedale Sandro Pertini di Roma. Tedesco ha ribadito che la notte dell’arresto Cucchi fu pestato dai carabinieri nella caserma della Compagnia Casilina. "Mentre uscivano dalla sala, Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Poi lo spinse e D’Alessandro diede a Cucchi un forte calcio con la punta del piede all’altezza dell’ano.

Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto: ‘Basta, finitela, che cazzo fate, non vi permettete’. Ma Di Bernardo proseguì nell’azione spingendo con violenza Cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino, poi sbatté anche la testa. Io sentii un rumore della testa che batteva. Quindi D’Alessandro gli diede un calcio in faccia, a quel punto mi alzai e li allontanai da Stefano". Il carabiniere ha poi spiegato in aula il muro, fatto anche di minacce e depistaggi, che si è trovato davanti dopo la morte del geometra 31enne.

"Il maresciallo Mandolini, quando gli chiesi come dovevamo comportarci se chiamati a testimoniare, mi disse ‘Tu devi seguire la linea dell’Arma se vuoi continuare a fare il carabiniere’. Percepii una minaccia nella sue parole". "Ho avuto paura perché quando il 29 ottobre del 2009 sono stato costretto a non parlare mi sono sentito in una morsa dalla quale non potevo uscire. Se avessi parlato allora sarei stato contro il mondo - ha spiegato Tedesco rispondendo alle domande del pm Giovanni Musarò e poi delle difese - Poi si sono succeduti vari eventi, sapevo che Casamassima aveva iniziato a parlare e ho cominciato a non sentirmi più solo. Cercavo di trovare un contatto con qualcuno in tutti i modi per dire questa cosa".

Il carabiniere, imputato e superteste, ha detto in particolare cosa lo ha spinto dopo tanti anni a raccontare la verità: "La lettura del capo di imputazione ha inciso molto, come pure il fatto che ci fosse un nesso di causalità tra il pestaggio, la caduta e la morte. La lettura di quel capo di imputazione mi colpì perché descriveva quello a cui avevo assistito e da questo è scaturito il fatto che non sono riuscito più a tenermi dentro questo peso" ha sottolineato Tedesco. "Adesso che sono stato sospeso dall'Arma, mi sento meglio, senza più intimidazioni e quelle pressioni - ha concluso- Sono più tranquillo perché mi sono accorto che non sono solo".

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