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Pamela, chiesto ergastolo per Oseghale

08 maggio 2019 | 11.43
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La ragazza, fatta a pezzi il 30 gennaio del 2018 a Macerata, ricostruisce il sostituto procuratore, non sarebbe "morta per overdose " ma sarebbe stata "colpita al fegato quando era ancora viva"

(Foto da Facebook)
(Foto da Facebook)

dall’inviata Sara Di Sciullo

Pamela Mastropietro , la ragazza romana fatta a pezzi a Macerata il 30 gennaio del 2018, "non è morta di overdose, è stata uccisa da Oseghale con due coltellate". Lo ha ribadito il sostituto procuratore Stefania Ciccioli nella requisitoria davanti alla Corte di Assise di Macerata nel processo che vede imputato Innocent Oseghale con l'accusa di aver violentato la ragazza, approfittando del suo stato di inferiorità, di averla uccisa e fatta a pezzi. "Pamela voleva fuggire, doveva tornare a casa, ma non gli è stato permesso di uscire dalla casa. Oseghale quando è uscito a portare la droga, ha chiuso l'appartamento: Pamela era segregata in casa, non poteva fuggire e non aveva il cellulare". Secondo il sostituto procuratore infatti, nella casa di via Spalato Oseghale "ha continuato a pretendere dalla ragazza, stordita, rapporti sessuali a cui evidentemente lei non voleva più accondiscendere", ha sottolineato. Per Ciccioli infatti Pamela "è stata uccisa perché ha voluto sottrarsi a tutto quello che stava capitando nell'abitazione di Oseghale".

Il sostituto procuratore Ciccioli ha ricostruito i fatti, secondo l'accusa, a partire dal momento in cui i resti sono stati ritrovati chiusi in due trolley a Pollenza, attraverso l'esito delle indagini e i risultati delle consulenze. Ricordando l’esito degli accertamenti dei consulenti dell’accusa, il medico legale Mariano Cingolani e il tossicologo Rino Froldi, il sostituto procuratore ha osservato che "la morte di Pamela è avvenuta per le due ferite penetranti alla sede basale emitoracica destra dovendosi escludere l’overdose". In base agli esami tossicologici "Pamela era sì, nel momento della morte, sotto effetto di oppiacei" ma i dati rilevati "non sono coerenti con un’overdose".

I consulenti dell'accusa hanno scritto nella loro relazione, ha ricordato Ciccioli, che le due coltellate al fegato sono state inferte quando Pamela era viva e la "lesività ha svolto un ruolo nel determinismo della morte".  "La vittima, quando ancora era in vita, - ha detto Ciccioli – è stata attinta alla base del torace a destra da almeno due colpi di arma da punta e taglio". La vitalità delle ferite, ossia, il fatto che siano state cagionate a Pamela da viva in una zona idonea a provocare un'emorragia tale da causare la morte, secondo il sostituto procuratore, è confermata a più livelli e da più esami.

"Ci sono evidenti caratteri macroscopici di vitalità" delle lesioni "che hanno osservato tutti coloro che hanno avuto modo di vedere il cadavere" ma, ha poi proseguito il sostituto procuratore, "l'infiltrazione emorragica è presente anche a livello microscopico, sui vetrini" osservati. Infine "per scrupolo maggiore" il consulente medico legale ha svolto ulteriori accertamenti utilizzando "tre marcatori". "E nonostante il modo in cui il cadavere di Pamela è stato deturpato e oltraggiato, i marcatori hanno confermato la presenza di segni vitali delle lesioni". Sul fatto che le ferite al fegato sono state inferte a Pamela da viva, secondo l'accusa, ci sono dunque "univoci risultati rispetto a tutti i test eseguiti: macroscopici, microscopici e istochimici".

Le due ferite al fegato "hanno determinato la morte", ha continuato Ciccioli sulla base delle stesse valutazioni dei medici legali dell'accusa e di parte civile. Passando poi agli esiti degli esami tossicologici, ha ricordato Ciccioli, "l'overdose si deve escludere categoricamente. Non c'è stata overdose né nel senso di mera intossicazione né nel senso letale ossia come causa della morte". Per l'accusa, che ha ripercorso gli esiti degli esami tossicologici, "le concentrazioni di morfina erano talmente basse da essere incompatibili con l'idea di overdose". Nella requisitoria Ciccioli ha parlato della "certezza assoluta che non vi è stata overdose, non è stata l'assunzione di quel minimo quantitativo di eroina a cagionare la morte di Pamela Mastropietro".

Un altro elemento da considerare, secondo Ciccioli, è poi che le due coltellate al fegato sono del tutto avulse dalle altre lesioni fatte per depezzare il cadavere: "Il cadavere di Pamela non è stato tagliato come capitava, ma si è parlato da parte dei medici di una vera e propria disarticolazione cadaverica" che, ha sottolineato Ciccioli, è stata fatta "con perizia". Le due coltellate al fegato sono state "inferte nel raptus omicida da Oseghale, mentre tutti gli altri tagli sono funzionali alla disarticolazione fatta in un secondo momento", ha osservato.  

Alcune parti anatomiche del corpo di Pamela Mastropietro, ha detto il sostituto procuratore Stefania Ciccioli, sono state "soppresse" al chiaro scopo di "nascondere la responsabilità di quanto commesso". Così come il lavaggio con la candeggina sui resti è avvenuto per "eliminare le tracce che avrebbero potuto portare prove a suo carico". Il sostituto procuratore Ciccioli ha ricostruito i fatti secondo l'accusa a partire dal momento in cui i resti sono stati ritrovati chiusi in due trolley, attraverso l'esito delle indagini e i risultati delle consulenze. Il pubblico ministero ha ricordato che "non si è trovato il tessuto cutaneo, né il tessuto muscolare né il diaframma. E non è un caso - ha osservato - che queste parti anatomiche non siano state fatte trovare e siano state soppresse" perché avrebbero consentito di ricostruire maggiormente l'entità delle ferite. "Non è neppure un caso che manca tutto il sangue, il cadavere è stato completamente dissanguato al chiaro scopo di nascondere la responsabilità di quanto commesso", ha sottolineato il sostituto procuratore. Il lavaggio con la candeggina e tutta "l'attività manipolatoria sul cadavere - ha concluso - è avvenuta allo scopo di nascondere tracce del delitto commesso".   

Pamela Mastropietro, ha detto il pm, "prima di essere uccisa, è stata costretta a subire violenza sessuale e l'autore di questa violenza è stato Innocent Oseghale". "Oseghale ha compiuto atti sessuali senza il consenso di Pamela che si trovava in quel momento sotto effetto di sostanza stupefacente e non ha mai potuto esprimere un valido consenso a intrattenersi sessualmente con la persona che aveva davanti - ha detto il pm - E' stata uccisa perché ha voluto sottrarsi a tutto quello che stava capitando nell'abitazione di Oseghale". Secondo il sostituto procuratore il fatto stesso che ci sia stata una "estrema accuratezza" nel lavare il cadavere con la candeggina va "interpretato come univoco segno di interesse a cancellare tracce di rapporti sessuali", anche se come ricordato sono state trovate comunque trovate tracce di dna dell'imputato, e sempre con il fine di nascondere rapporti si spiega secondo l'accusa "l'asportazione dei genitali". Non solo. "A Oseghale non bastava aver avuto rapporti sessuali con la vittima, lo ha chiesto anche ad altri", ha continuato Ciccioli ricordando le intercettazioni in cui Awelima Lucky raccontava la telefonata in cui Oseghale gli proponeva di avere rapporti con Pamela. "Oseghale conosceva le condizioni di inferiorità di Pamela" ha detto Ciccioli aggiungendo che l'imputato ha "approfittato del desiderio irrefrenabile della ragazza di assumere eroina".  

PROCURATORE, 'PER OSEGHALE OGGETTO SESSUALE' - Per Innocent Oseghale, Pamela era "uno strumento per soddisfare la sua cupidigia sessuale". E' quanto ha detto il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio nella sua requisitoria davanti alla Corte di Assise di Macerata nel processo che vede imputato Oseghale con l'accusa di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi la ragazza romana a Macerata. Oseghale "la guardava come un oggetto idoneo a soddisfare le sue voglie sessuali e da cedere anche all'amico Awelima Lucky", ha detto il procuratore ricordando il contenuto di diverse intercettazioni in cui gli altri nigeriani, inizialmente coinvolti nella vicenda e per i quali è stata chiesta l'archiviazione, parlavano di Oseghale. Tra queste le intercettazioni in cui Awelima Lucky raccontava una telefonata in cui Oseghale gli proponeva di avere rapporti con Pamela. "In casa aveva una bella ragazza e ne ha approfittato spogliandola e avendo un rapporto sessuale", ha osservato il procuratore secondo il quale lo scopo dell'imputato era "solo soddisfare i suoi desideri". Oseghale ha accoltellato Pamela Mastropietro per "una reazione istintiva di fronte all'atteggiamento oppositivo della ragazza". Giorgio, all'inizio della sua requisitoria ha citato Gianrico Carofiglio che nel libro 'La versione di Fenoglio' parla dell'investigatore come 'costruttore di storie': "Io vi proporrò - ha detto il procuratore - quella che secondo noi è la storia, quello che è accaduto, citando gli atti". "Non abbiamo testimoni diretti, abbiamo varie versioni di Oseghale, poi due versioni ulteriori riferite una al compagno di cella, l'estensore mancato del libro 'Innocent' e l'altra a Vincenzo Marino", ha detto il procuratore riferendosi alle testimonianze del detenuto testimone della difesa, che avrebbe voluto scrivere un libro sulla vicenda e secondo il quale Oseghale ha negato di aver ucciso la giovane, e del collaboratore di giustizia Marino, testimone dell'accusa che raccontò che l'imputato gli confessò di aver avuto un rapporto sessuale con Pamela e di averla accoltellata. Le due versioni che Oseghale avrebbe riferito al compagno di cella e al collaboratore di giustizia sono "divergenti", ma secondo il procuratore ciò che ha raccontato Marino, "è suffragato da univoci riscontri esterni e idoneo a supportare un verdetto di condanna insieme ad altri elementi di prova".

LEGALE FAMIGLIA, NON ERA UNA TOSSICA - "La richiesta di pena è quella massima, ergastolo con isolamento diurno e a scalare tutte le altre ipotesi. E' quella che ci aspettavamo, siamo soddisfatti e anche noi ci assoceremo doverosamente a questa richiesta". E' quanto ha detto l'avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia di Pamela Mastropietro, in una pausa dell'udienza al termine della requisitoria del procuratore di Macerata Giovanni Giorgio che ha chiesto la condanna all'ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi nei confronti di Innocent Oseghale imputato davanti alla Corte di assise di Macerata. "Pamela era una di noi, poteva essere la figlia, l'amica, la conoscente di ognuno di voi". Lo ha detto l'avvocato Marco Valerio Verni, legale di parte civile della famiglia di Pamela Mastropietro nel corso dell'udienza davanti alla Corte di Assise di Macerata del processo che vede imputato Innocent Oseghale per il quale la procura ha chiesto oggi la condanna all'ergastolo con isolamento diurno di 18 mesi. L'avvocato ha voluto innanzitutto descrivere alla Corte Pamela, così diversa dal ritratto a volte emerso nei mesi passati.  "Non era una ragazza, cresciuta allo sbando, senza valori di riferimento, non era una tossica", ha continuato l'avvocato sottolineando che la ragazza, "caduta nella trappola mortale della droga" era affetta da "disturbo della personalità borderline". "Quelle immagini le avete viste voi signori della Corte e vi prego di tenerle a mente quando in camera di consiglio sarete chiamati ad emettere la vostra sentenza". L'avvocato ha sottolineato di aver deciso di non mostrare di nuovo le foto del modo orribile in cui fu ridotto il corpo della ragazza, rispettando anche la scelta della Corte che chiuse l'udienza al pubblico quando le foto furono mostrate, anche se "nessuna narrazione - ha detto Verni - può equiparare la visione di quelle immagini".

RICHIESTA ARCHIVIAZIONE PER DESMOND - "In assenza di un univoco riscontro e mancando significative prove sul fatto che Desmond abbia cancellato le tracce non si può affermare con ragionevole certezza che Desmond fosse stato in casa di Oseghale per questo abbiamo chiesto l'archiviazione" nei suoi confronti. E' quanto ha detto il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio nella requisitoria davanti alla Corte di Assise di Macerata in un passaggio in cui parla della posizione di Lucky Desmond, uno degli altri nigeriani inizialmente coinvolti nella vicenda e per i quali la procura ha chiesto l'archiviazione. Della presenza o meno di Desmond nella casa di via Spalato dove Pamela fu uccisa si è parlato nel corso delle scorse udienze. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, testimone dell'accusa che ha raccontato di aver raccolto le confidenze di Oseghale in carcere, raccontò che l'imputato gli aveva detto di essere andato nella sua abitazione insieme alla ragazza e a Desmond e che quest'ultimo si avvicinò per approcciarla, Pamela lo respinse e l'amico le diede uno schiaffo facendola così cadere a terra per poi andarsene. Lo stesso imputato ha dato diverse versioni inizialmente collocando Desmond nella casa e in seguito scagionandolo. Secondo il procuratore "certo è" che la presenza in casa di Lucky Desmond non è stata rilevata dalle indagini del Ris e non vi sono elementi di assoluta certezza neppure sulla base dell'analisi delle celle telefoniche. Inoltre "la lesione alla testa" compatibile con una caduta comunque "non può ritenersi causa di morte", ha osservato il procuratore.

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