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Terrore, 'sangue e onore': così la 'ndrangheta allungava i suoi tentacoli

05 novembre 2019 | 14.56
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"Voce bassa o radio ad alto volume per paura intercettazioni": è quanto emerge dall'ordinanza che ha portato a misure cautelari nel blitz nel torinese e in altre città

Terrore, 'sangue e onore': così la 'ndrangheta allungava i suoi tentacoli

Voce bassa o radio ad alto volume per paura di intercettazioni. E' quanto emerge dall'ordinanza che ha portato a misure cautelari nell'ambito del blitz contro la 'ndrangheta messo a segno dai carabinieri e della guardia di finanza nel torinese e in altre città.

"In contesti più riservati nei quali gli interlocutori riponevano piena affidabilità (quali ad esempio private abitazioni e abitacolo delle vetture) - si sottolinea nell'ordinanza - essi si sono lasciati andare a confidenze, esternazioni e rivelazioni utili ai fini del presente procedimento (salvo in taluni casi adottare alcuni accorgimenti, abbassare il tono di voce o aumentare il volume della radio dell'autovettura, laddove si trattava di pronunciare nomi di persone o di affrontare argomenti delicati)". Nell'ordinanza il gip spiega che sono "emersi plurimi indici di esteriorizzazione del metodo mafioso".

"Preme ad ogni modo evidenziare che nel presente procedimento sono emersi plurimi indici di esteriorizzazione del metodo mafioso e concreti elementi di operatività delle strutture in esame - si sottolinea - tenuto conto della disponibilità di armi da fuoco in capo a diversi affiliati, della creazione e messa in esercizio di due potenti associazioni dedite al narcotraffico (costituenti una branca dei locali mafiosi e deputate a realizzare uno degli scopi delle cellule di 'ndrangheta), della disponibilità di ingenti risorse illecite e della commissione di plurimi delitti in materia di spaccio, aventi ad oggetto ingenti quantitativi di droga".

DIFFUSIONE CAPILLARE - Una conversazione "attesta la diffusione capillare, anche all'estero, dell'organizzazione mafiosa, tenuto conto che gli interlocutori menzionavano la presenza di esponenti apicali della medesima associazione residenti in Brasile, Perù, Canada e Colombia, precisando che si tratta di paesi dove e possibile fare affari con la diffusione di stupefacenti".

"CITTADINI TERRORIZZATI"
- Cittadini terrorizzati costretti a vivere in stato sudditanza, rileva ancora il gip. Il cittadino "per tutelare i propri interessi personali e/o patrimoniali, è portato a non denunciare i soggetti facenti parte dell'associazione di stampo mafioso - si osserva nell'ordinanza - Egli, nel momento in cui viene in contatto con esponenti dell'organizzazione mafiosa, è pervaso da un sentimento di paura, e terrorizzato da ciò che potrebbe capitargli in conseguenza della collaborazione con gli organi statuali, e costretto a vivere in uno stato di sudditanza e di sottomissione, preferisce tacere e non collaborare con lo Stato, essendo portato a subire e a piegarsi alle richieste - esplicite ed implicite - degli appartenenti all'associazione".

LE RIPRESE DELLE TELECAMERE - Dall'ordinanza trapela che gli incontri e le riunioni tra i vari affiliati sono stati ricostruiti anche grazie alle riprese effettuate dalle telecamere posizionate in strada dando certezza alle identificazioni dei soggetti coinvolti "ripresi in volto in modo chiaro e nitido". Più in generale le principali fonti di prova dell'indagine, si legge sempre nell'ordinanza, sono costituite dalle "intercettazioni telefoniche effettuate nel corso della lunga e articolata attività di investigazione". Sono inoltre stati eseguiti pedinamenti, che hanno permesso "la precisa identificazione degli interlocutori, sia la precisa ricostruzione delle vicende oggetto delle conversazioni captate", scrive il gip. In alcuni casi, sottolinea il gip, anche l'ampia e dettagliata analisi dei tabulati telefonici ha permesso di individuare con sicurezza le persone coinvolte a vario titolo nelle indagini. E' stata poi decisiva, si legge nell'ordinanza, "l'installazione di apparecchiature Gps sui veicoli" usati dagli associati, "oltre ai sequestri di sostanza stupefacente attraverso interventi ad hoc, costituenti riscontro delle indagini tecniche".

DICHIARAZIONI AGRESTA - "Costituiscono un novum rispetto alle attività investigative e ai processi precedenti, le dichiarazioni eteroaccusatorie del collaboratore di giustizia Domenico Agresta, classe 88, che in molti aspetti si pongono in continuità con le affermazioni di altri 'pentiti', come Rocco Marando e Rocco Varacalli, già reputati attendibili nel processo 'Minotauro'" rileva ancora il gip nell'ordinanza. Domenico Agresta "nell'ottobre del 2016 ha avviato, del tutto inaspettatamente, un percorso di collaborazione con la giustizia, rendendo dichiarazioni importanti su circostanze nuove e attuali, nonostante il lungo periodo di detenzione che lo vede ristretto, ininterrottamente in carcere, dall'ottobre del 2008 a oggi".

Agresta era finito in carcere a seguito del fermo per l'omicidio di Giuseppe Trapasso, il cui cadavere venne trovato bruciato il 16 ottobre del 2008, in un'auto a Borgiallo, nel territorio di Cuorgnè, non lontano da un night club "frequentato da numerosi esponenti", spiega il gip. Domenico Agresta ha manifestato "la volontà di collaborare con la giustizia" il 7 ottobre 2016 "rendendo da allora molteplici interrogatori in cui ha ripetutamente confermato la propria attuale appartenenza alla 'ndranqheta" e parlando "dell'inserimento in una delle famiglie più potenti della 'ndrangheta di origine reggina, citando il proprio nonno, omonimo, tra i fondatori della 'onorata società'".

Il collaboratore di giustizia "ha riferito, nel dettaglio, i riti con cui in carcere gli sono state attribuite le 'doti' superiori a quella di picciotto ottenuta in libertà, nonché le informazioni ottenute durante la detenzione dai propri familiari, ma anche da altri detenuti appartenenti alla medesima associazione mafiosa" si legge nell'ordinanza del gip nella quale si fa riferimento al collaboratore di giustizia Domenico Agresta. "Di talché, nonostante il lungo periodo di detenzione, egli ha potuto fornire indicazioni aggiornate e attuali - prosegue l'ordinanza - e svelare comunque dinamiche ed episodi, specificamente inerenti il locale di Volpiano, non compiutamente noti agli inquirenti, mantenendo una propria autonomia rispetto alle acquisizioni giudiziarie emerse nel noto processo 'Minotauro'".

Nell'ordinanza del gip si parla delle motivazioni che lo hanno spinto a "collaborare": "In carcere egli ha effettivamente intrapreso un percorso di studi e si è diplomato, interrompendo definitivamente ogni contatto con i propri familiari o con altri esponenti della 'ndrangheta calabrese. Ed anche per questo la sua decisione volta ad intraprendere un percorso collaborativo distaccandosi dal precedente modus agendi, appare sincera, spontanea e genuina".

LE REAZIONI DEI FAMILIARI - "Le reazioni dei familiari alla notizia del 'pentimento' di Domenico Agresta sono particolarmente significative, in quanto riflettono il pregresso inserimento nel crimine organizzato mafioso e la preoccupazione per le informazioni che il collaboratore avrebbe potuto rivelare agli inquirenti" si legge nell'ordinanza. In una conversazione telefonica il padre del collaboratore "si sfogava con la figlia Domenica, sostenendo, a più riprese, che Domenico 'li aveva rovinati'", si sottolinea nell'ordinanza nella quale si aggiunge che il padre "ipotizzava inoltre di avvicinare il figlio tramite l'avvocato o altri detenuti per indurlo a ritrattare e tornare sui suoi passi".

"Se lui si è dissociato da noi, dalla mia famiglia e dalla tua, ma io lo ammazzo..." dice il padre di Domenico Agresta in un colloquio intercettato con la moglie, secondo quanto si legge sull'ordinanza. "Nel dialogo i genitori del collaborante si interrogavano sul motivo della convocazione, che aveva proprio la finalità di annunciare ai familiari del pentito l'ingresso di quest'ultimo nel programma di protezione", scrive il gip. "E' importante sottolineare come Saverio Agresta, membro apicale dell'organizzazione delinquenziale in esame - scrive il gip - si domandava quali circostanze il figlio Domenico avrebbe potuto rivelare agli investigatori tenuto conto del lungo periodo di detenzione sofferto". Nella frase, spiega il gip, il padre di Domenico Agresta, "in ossequio ai tipici codici mafiosi in cui lo scioglimento del vincolo associativo e la collaborazione con la giustizia è sanzionata con l'eliminazione fisica del traditore, ipotizzava di uccidere il figlio, con ciò rivelando che quest'ultimo era un attuale membro del gruppo criminale di stampo mafioso".

IL RITO DI AFFILIAZIONE - Dall'ordinanza emergono poi i dettagli del rito di affiliazione svelati da un pentito. Mi dissero che "Domenico Agresta, classe 86, quale capo giovani, mi avrebbe chiesto, in dialetto calabrese, 'giovanotto cosa cerchi'. Io dovevo dire 'sangue e onore'; lui 'perché sangue e onore non ne hai?', al che dovevo rispondere 'sì ma voglio quello della società'" e la risposta a quel punto sarebbe stata "'da questo momento in poi questo giovanotto non viene più riconosciuto come giovane d'onore ma come picciotto appartenente a questa corpo di società", secondo il racconto emerso dall'ordinanza. In seguito racconta che gli è stato detto di "dare la mano a tutti; io volevo dare anche un bacio, ma lui mi disse che un picciotto non poteva salutare dando dei baci. Poi i presenti mi hanno fatto gli auguri", si sottolinea.

MITRAGLIATRICE - Il giovane collaboratore "nell'interrogatorio del 20 ottobre 2016" ha parlato di una "cosidetta 'armaciera' (ossia dei muri di pietra con all'interno tubi di plastica destinati al nascondiglio di armi) nell'agro di Platì (Reggio Calabria), ubicata nelle pertinenze dell'abitazione della nonna materna di suo cognato, all'interno della quale erano state occultate alcune armi" si legge ancora nell'ordinanza del gip. "Eravamo a Plati - racconta il collaboratore, secondo quanto si legge nell'ordinanza - e si trattava di tre mitragliatori, due Tomphson e uno mi pare sia calibro 9, del tipo di quelli che usano i Ros; dopo averli puliti li abbiamo lasciati".

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