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Strage Bologna, perizia integrativa: maschera facciale non è di Maria Fresu

22 ottobre 2019 | 08.29
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"Interruttore piegato manualmente, poche tracce di esplosivo"

(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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E’ stata depositata dal perito esplosivista Danilo Coppe la perizia integrativa che risponde ai quesiti posti dalla Corte d’Assise di Bologna che sta processando l’ex esponente dei Nar, Gilberto Cavallini per concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione.

Il documento peritale, elaborato da Coppe e dal colonnello dei carabinieri Adolfo Gregori, Comandante della Sezione di Chimica, Esplosivi ed Infiammabili dei Ris, integra anche la perizia sul Dna, predisposta dalla dottoressa Elena Pilli, capitano dei carabinieri e biologa genetico-forense dell’Università di Firenze, dei resti inizialmente attribuiti alla vittima della strage Maria Fresu, scomparsa misteriosamente nell’attentato e sulla cui disintegrazione lo stesso Coppe ha già espresso forti dubbi ritenendola non possibile.

La nuova perizia conferma quanto anticipato il 14 ottobre scorso dall’Adnkronos sui risultati dell’esame del Dna della maschera facciale con uno scalpo trovata il 25 ottobre scorso durante la riesumazione nel cimitero di Montespertoli di quello che si ritenevano essere i resti della Fresu: quel materiale organico non appartiene alla giovane mamma sarda la cui figlia Angela, di tre anni, morì, anch’essa, nell’esplosione, schiacciata dalle macerie assieme ad un’amica della donna, Verdiana Bivona mentre un’altra ragazza del gruppo diretto a Rovereto per le vacanze estive, Silvana Ancillotti, sopravvisse.

E’ confermato anche che i resti trovati nella bara della Fresu nel corso dell’esumazione disposta dalla Corte d’Assise di Bologna appartengono a due Dna femminili differenti ma non, appunto, alla mamma sarda.

Nella perizia viene anche ipotizzato come escludere definitivamente che quei resti - tanto la maschera facciale con lo scalpo, quanto la mano destra con le dita - appartengano a una 86esima vittima. Vi potrebbero essere, infatti, in linea teorica, 5-6 vittime femminili a cui potrebbe appartenere il lembo di volto, così come ad una di altre due donne rimaste vittime dell’esplosione potrebbe essere ricondotta la mano. Questo anche se la perizia Pappalardo, che identificò tutte le vittime, esclude categoricamente questa circostanza.

Da questo punto di vista potrebbero essere necessari altri esami - se la Corte riterrà di disporli - per indagare, eventualmente, sulla compatibilità dei resti umani. Esami che, una volta conclusi, potrebbero sciogliere i dubbi residui sull’esistenza di una 86esima vittima o, piuttosto, sull’attribuibilità dei resti a una delle donne investite dall’esplosione dell’ordigno.

Nelle loro risposte ai quesiti posti dalla Corte, i periti, inoltre, rivelano che su quello che si è ritenuto essere un interruttore di sicurezza per il trasporto dell’ordigno – una staffa metallica di alluminio di 10 centimetri per 3 circa, piegata e sul quale è stato montato artigianalmente un interruttore on off a levetta di tipo automobilistico – è stata trovata una ridotta quantità di esplosivo e che gli esami metallografici condotti dal professor Marco Boniardi, ordinario di metallurgia ed esperto in Failure Analysis & Forensic Engineering del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, hanno rilevato che la piegatura non è frutto di uno shock termico, quale potrebbe essere stata l’esplosione della bomba, quanto, piuttosto, il risultato di una pressione meccanica.

Ciò, tuttavia, non esclude completamente che possa essersi trattato di un interruttore di sicurezza. I periti escludono invece, come ipotizzato dai consulenti del pm nelle scorse udienze, che la staffa metallica di alluminio avrebbe dovuto fondersi per il calore.

Coppe e Gregori hanno infine comparato altri attentati compiuti in Italia, oltre a quelli già segnalati, valutandone la compatibilità con la strage di Bologna sotto vari profili.

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