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Le motivazioni

"Dj Fabo decise di morire in autonomia"

30 gennaio 2020 | 12.51
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Le motivazioni con cui i giudici di Milano hanno assolto Marco Cappato dall'accusa di aver aiutato Fabiano Antoniani, rimasto tetraplegico dopo un incidente stradale, a morire in Svizzera

"Le emergenze istruttorie hanno dimostrato che Marco Cappato ha aiutato Fabiano Antoniani a morire, come da lui scelto, solo dopo aver accertato che la sua decisione fosse stata autonoma e consapevole, che la sua patologia fosse grave e irreversibile e che gli fossero state prospettate correttamente le possibili alternative". E' uno dei passaggi delle motivazioni con cui i giudici di Milano hanno assolto Cappato, lo scorso 23 dicembre, dall’accusa di aver aiutato Dj Fabo, rimasto tetraplegico dopo un incidente stradale, a morire in Svizzera.

Nelle motivazioni, di 17 pagine, si evidenzia come nella ricostruzione dei fatti Fabiano Antoniani aveva deciso di morire in quanto persona "affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che trovava assolutamente intollerabili" era tenuto in vita da macchine ed era capace di decisioni "libere e consapevoli". Condizioni certificate da medici, dalle parole della madre e dalla fidanzata, messa nero su bianco nel testamento biologico, lasciate in un'intervista televisiva con tanto di appello al Presidente della Repubblica. Dj Fabo aveva escluso di sospendere le cure perché avrebbe mantenuto una certa autonomia di respirazione, quindi "la sua agonia sarebbe stata molto lunga", probabilmente dolorosa e comunque non dignitosa". Una volta apprese le alternative a sua disposizione Fabiano, secondo i giudici, ha deciso la clinica svizzera Dignitas per porre fine alla sua vita nel modo in cui "aveva consapevolmente e autonomamente deciso". Struttura in cui Cappato lo accompagna, ma quell'aiuto, peri giudici, non costituisce reato.

La condotta messa in atto da Cappato "esclude" che si configuri il reato di "agevolazione al suicidio", spiegano ancora le motivazioni dei giudici milanesi. Il collegio della prima corte d’assise, presieduto da Ilio Mannucci Pacini, ricostruisce come l’intervento della Corte Costituzionale abbia ridotto la portata l’area della punibilità e come bisogna riportarsi ai requisiti "procedimentali" per poter decidere rispetto alla non punibilità, ossia la presenza di una patologia irreversibile, la volontà del soggetto espressa in modo "chiaro e univoco" indice di una capacità di prendere decisioni libere e consapevoli, e che al paziente venga "prospettata la possibilità di porre fine alla propria vita mediante la sedazione profonda e l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale". Condizioni che in questo caso si sono verificate.

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