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Coronavirus, "troppe polmoniti strane prima di paziente 1"

25 febbraio 2020 | 16.58
LETTURA: 6 minuti

A raccontarlo all'AdnKronos Salute è un medico di famiglia in quarantena a Castiglione d'Adda, epicentro dei contagi in Lombardia

(Afp)
(Afp)

di Lucia Scopelliti

Quando il 38enne ricoverato a Codogno ha svelato a tutti la presenza del nuovo coronavirus in Lombardia, il patogeno "circolava già da un po'. I casi sono cominciati ben prima del paziente uno. Io la settimana prima avevo visto tante polmoniti insolite fra i miei assistiti. Buona parte è risultata essere da coronavirus". A raccontarlo all'AdnKronos Salute è un medico di famiglia in quarantena a Castiglione d'Adda, epicentro dei contagi in Lombardia.

"Nell'ultima settimana - dice la dottoressa - c'era state queste brutte polmoniti, alcune delle quali avevano richiesto ricoveri. Le abbiamo viste nonostante quest'anno l'epidemia di influenza fosse bassa. Però non c'erano particolari allerte. Per il nuovo coronavirus tutto quello che dovevamo fare era chiedere agli assistiti se venivano dalla Cina, e in particolare dall'area a rischio" per la Covid-19. "E non è che in una cittadina piccola come Castiglione d'Adda ci fosse tutta questa ressa di pazienti rientrati dalla Cina. I nostri assistiti quando facevamo la domanda si mettevano a ridere. L'unico protocollo da applicare era quello".

"Nessuno" dei pazienti della dottoressa, poi risultato positivo al nuovo coronavirus, "aveva avuto contatti con la Cina. E' stato assodato che si è trattato di contatti di secondo o terzo livello. Addirittura per il caso indice" non si è capita la fonte del contagio. In pochi giorni si è assistito all'esplosione di casi positivi. "E fra i primi ammalati ci sono medici. Questo è indicativo: non è che in 10 minuti di visita lo prendi. Il virus girava già, almeno da una settimana, dieci giorni".

"Siamo stati un po' delle cavie. Ma ora non si può permettere che in altre regioni si ripetano i nostri inevitabili errori. L'unica cosa che speriamo è che la situazione venga presa in mano a livello nazionale. Servono due cose minime. La prima è che bisogna dotare di presidi di protezione i medici, e questi protocolli di protezione vanno usati già adesso, senza aspettare che si presenti il primo caso positivo al nuovo coronavirus. E poi va istituito un sistema di prenotazioni e di gestione delle visite solo su appuntamento, per evitare che i pazienti si presentino direttamente in ambulatorio magari con una sospetta Covid-19. Il nostro errore è che eravamo impreparati". "In questi momenti - dice il medico di famiglia all'AdnKronos Salute - si sente la mancanza di coordinamento. Le altre regioni ora non possono sperare che non avranno casi. Come non si può sperare questo al di fuori dalla zona rossa. Il 50% della popolazione attiva di Castiglione d'Adda, per fare un esempio, lavora su Milano e Piacenza. E' impensabile sperare che non arriverà altrove. Spero dunque che si applichi un protocollo nazionale e non si facciano gli stessi errori. Capisco l'impreparazione quando ancora non si sa di avere il virus 'in casa'. Anche se - puntualizza la dottoressa - abbiamo vissuto altre emergenze in cui eravamo più preparati fin dall'inizio".

Per esempio, continua, "quando c'è stato l'allarme Sars noi medici avevamo già tutti i presidi per affrontarla, poi non è arrivata. In questo momento le altre regioni non possono non far tesoro degli errori fatti da noi. E' giusto non creare allarmismo perché la maggior parte casi decorre in maniera lieve, però è pur sempre un'infezione molto contagiosa. E' in grado di prendere una fetta di popolazione grandissima. Ripeto, non si aspetti il primo caso per applicare protocolli di protezione. Il minimo è avere in studio una protezione individuale e ridurre l'affluenza nelle sale d'aspetto". A non funzionare questa volta "per esempio il fatto che i medici di famiglia hanno avuto all'inizio informazioni scarsissime. Non si è pensato che noi siamo i primi a contatto con la gente. E in questo periodo avevamo gli ambulatori affollati".

"Sono in quarantena con una collega nel mio studio medico a Castiglione d'Adda. Dormiamo qui da venerdì". Il medico di famiglia è in quarantena precauzionale da venerdì perché è stata in contatto con almeno una ventina di suoi pazienti, risultati positivi al nuovo coronavirus. La cittadina nel cuore della zona rossa lodigiana "fino a oggi non aveva più ambulatori aperti e medici di famiglia che potessero visitare i pazienti. Su 4, uno è ricoverato per coronavirus e gli altri 3 siamo tutti in quarantena precauzionale. Anche la pediatra è in quarantena. Oggi finalmente è arrivato un collega della zona che si è offerto di sostituire il camice bianco malato, ma non basta. Sono giorni di fuoco. Da venerdì, quando abbiamo dovuto chiudere, abbiamo stazionato in ambulatorio a fare ricette online e rispondere a duemila quesiti che ci piovevano addosso dai nostri assistiti". "Per fortuna condivido questi momenti con la mia collega, ci facciamo compagnia", dice raggiunta al telefono dall'AdnKronos Salute.

La dottoressa tiene a puntualizzare che la quarantena è una forma precauzionale di sorveglianza attiva diversa dall'isolamento riservato ai pazienti positivi. "Dormiamo in studio per scelta nostra - spiega - All'inizio è stato per una protezione verso i familiari. Io per esempio ho figli e aspettavamo l'esito del tampone. Che era negativo lo abbiamo saputo di recente e ora vediamo, aspetteremo forse un paio di giorni. Stiamo qui anche per senso di responsabilità. I nostri assistiti hanno bisogno di noi. Non possono venire in studio, ma siamo qui non stop e rispondiamo alle loro chiamate". Le precisazioni, continua la dottoressa, sono d'obbligo perché in questi giorni il suo nome è rimbalzato su Facebook e poi di chat in chat. Dopo che il caso del 38enne ricoverato all'ospedale di Codogno ha svelato la presenza del nuovo coronavirus nel Lodigiano, ci sono stati momenti concitati di "panico totale: assistiti che intasavano i centralini allarmati da voci circolate online". "Sono arrivati a scrivere che ero positiva, quando ancora non avevo neanche fatto il tampone - dice - Mi hanno chiamato pazienti che non vedevo da un anno, abbiamo perso tempo prezioso. Anche questo ha ritardato la gestione corretta del problema: le persone hanno avuto informazioni prima dalle chat che dalle autorità sanitarie della regione".

Con l'arrivo del collega la situazione si è alleggerita: "Non essendo in quarantena - spiega la dottoressa - lui può vedere i pazienti, certo non più di uno per volta. E per questo ha bisogno di aiuto, perché sta facendo il lavoro di 4 persone. In questi momenti il nostro impegno è sui malati cronici. Per qualche giorno c'è stata una finestra in cui la gente aveva come primo bisogno le ricette e anche un po' di conforto. Abbiamo per fortuna un sistema per cui possiamo mandare le prescrizioni, con stampante e codice personale del paziente. E la protezione civile da oggi si è resa disponibile a prendere e portare direttamente in farmacia le ricette che facciamo. Ci stiamo organizzando, insomma".

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