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Coronavirus, vescovo Bergamo ai medici: 'Benedite voi chi soffre, il dolore ci unirà'

14 marzo 2020 | 18.51
LETTURA: 5 minuti

'Difficile sopportare morte persona amata senza ultimo saluto, ogni cristiano può farlo da lontano'

Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi
Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi

di Vittoria Vimercati

La comunità di Bergamo "è in grande sofferenza" e per molti la cosa più dura da sopportare è "non poter vivere il momento di distacco con i propri cari, le persone amate". Anche per questo, "ho invitato gli operatori sanitari che hanno voglia di farlo a benedire chi sta soffrendo o è vicino alla morte: ogni cristiano è chiamato a benedire e se è battezzato può farlo", dice in un'intervista all'Adnkronos il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, da giorni in prima linea nel conforto dei fedeli in una delle province, quella di Bergamo, tra le più devastate dai contagi da Coronavirus, con 2.864 casi positivi accertati.

Oggi sull'Eco di Bergamo c'erano ben dieci pagine di necrologi e il sindaco della città, Giorgio Gori, ha parlato di "una sepoltura ogni mezz'ora". Tutto questo nell'impossibilità di dare l'ultimo saluto ai propri cari ricoverati per paura dei contagi, né in ospedale né con la celebrazione di un funerale. "Questa è una prova molto forte dal punto di vista dei sentimenti. In questo momento ho ricevuto la telefonata di un sacerdote in quarantena che ha perso il suo papà", racconta Beschi. E' difficile, insomma, anche per uomini di chiesa accettare tutto questo.

"Noi, in questo momento, a fronte di numeri impressionanti, cerchiamo di manifestare come possiamo la vicinanza, accompagnando da lontano con la preghiera il momento della sepoltura di queste persone. Ma - spiega - ho invitato tutti, le famiglie e gli stessi operatori sanitari di cui ho grande rispetto, a compiere un segno, una benedizione, nei confronti delle persone in più gravi condizioni, di quelle che desiderano e si avvicinano alla morte".

Ogni cristiano, spiega, "è chiamato a benedire e un battezzato lo può fare: un figlio nei confronti del genitore malato o un nipote nei confronti del nonno. Le persone credenti gradiscono e anche chi non pensava da tempo alla fede può vedere in questo un elemento di speranza che accompagna la sua vita in un momento difficile".

A Bergamo e provincia le chiese ora sono vuote, ma sono sempre rimaste aperte, anche dopo il divieto di celebrare Messa. "Noi tutti ci teniamo molto che rimangano aperte: ora che siamo tutti limitati nei movimenti uno potrebbe dire: a cosa serve? E' invece un grande segno, una porta aperta su luogo di speranza, che dà conforto ai credenti, giovani e anziani ".

Il coronavirus ha costretto tutti a chiudersi in casa: siamo distanti e ancora più soli, ma il senso di questa sofferenza, secondo il vescovo, si può già intravedere nella sempre maggiore solidarietà e voglia di condivisione delle persone.

"In questo momento - dice Beschi - io sto già vedendo dei piccoli segni che meritano di essere riconosciuti e coltivati, sono piccoli segni perché l'agguato della malattia e del dolore c'è ancora. Da qualche anno - spiega - noi ci eravamo un po' condannati alla solitudine. All'inizio dello sviluppo del virus ognuno continuava a vivere per sé, pensando di essere capace di arrangiarsi: si guardava a quello che accadeva con una certa indifferenza. Poi, man mano che ci siamo dovuti chiudere nelle nostre case diventando ancora più distanti gli uni dagli altri, ci siamo ritrovati: proprio adesso, sta crescendo una condivisione sempre più grande. Siamo distanti, ma ognuno nelle forme più diverse cerca di ristabilire relazioni".

Anche questo, in una realtà "che ha ancora forti aspetti di oscurità", è "un segno, come l'impegno di medici, paramedici e infermieri: tutti quanti ne siamo ammirati".

Anche tra vescovi la solidarietà è tanta. La preghiera sul Duomo dell'Arcivescovo di Milano, Mario Delpini, "è stata bellissima", afferma Beschi. Un altro dono "in questa situazione così sofferta" è "lo scambio che abbiamo tra noi vescovi, quasi quotidiano, per condividere quello che stiamo vedendo. Ciò allarga il cuore".

Il sostegno arriva anche dai vescovi del Sud Italia. "Ho sentito amici vescovi del sud e anche da loro ci arriva solidarietà: la loro preoccupazione non è quella del contagio. La preoccupazione è rispetto alle strutture di cui dispongono, che non siano all'altezza di un propagarsi del morbo".

La Diocesi di Bergamo sta facendo il possibile per lanciare il suo messaggio e stare vicina ai fedeli anche sui social, da Instragam a Facebook, e su tutti i media. "Abbiamo la fortuna in questo frangente - sottolinea Beschi - di essere editori da 130 anni dell'Eco di Bergamo e di altri media, che danno grande risposta alla nostra necessità di comunicazione. La scelta di tenere aperte le edicole è stata giusta: anche i giornalisti sono provati, ma il giornale diventa per tutti un momento di riflessione".

Sui social "lavoriamo per i giovani e per i ragazzi. Abbiamo una serie di contributi adatti a questo strumento, come il Vangelo del giorno per oppure app che danno lezioni di catechismo. Su Instagram abbiamo anche creato un oratorio virtuale".

Ciò che serve alla comunità, oggi, sono soprattutto delle guide, come i sindaci, di cui ci si possa fidare. La figura del sindaco Giorgio Gori, ad esempio, "è decisiva in questo momento, e mi sembra anche molto apprezzata". Nei comuni della bergamasca, spiega Beschi, "c'è una tradizione amministrativa molto positiva, una vicinanza alle persone che i sindaci riescono ancora a esprimere in maniera efficace. E io lo vedo in un momento difficile come questo dove bisogna fidarsi non solo dei medici ma anche di qualcuno si prenda la responsabilità di guidare i cittadini".

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