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Da Giuliana Sgrena a Silvia Romano, il giallo dei riscatti (sempre smentiti)

12 maggio 2020 | 16.36
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Tutti casi dal 2004 ad oggi, con la liberazione della cooperante 24enne

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La cifra dei riscatti ufficialmente mai pagati, ma di cui, in un modo o nell’altro, più fonti parlano liberamente, stando a indiscrezioni stampa e non solo avrebbe raggiunto, nel corso degli anni, circa 80 milioni di euro. Tanti soldi per liberare gli ostaggi italiani che, dal 2004 a oggi, sono stati rapiti in Iraq, Siria, Libia, Afghanistan, Somalia e non solo. Somme che non lasciano traccia, che mai sono state (e mai lo saranno) confermate e verificate, ma il cui pagamento si dà per scontato, tanto da avere, in più occasioni, provocato polemiche in casa e la sollevazione di qualche nostro alleato, Stati Uniti per primi, contrari a finanziare i terroristi fosse anche per riportare a casa una vita umana. Più volte si sono tentati calcoli e ipotizzate cifre a sei zeri. Ci provò il settimanale Panorama nel 2012, altre testate fecero altrettanto negli anni a seguire ed ogni qualvolta un cittadino italiano rapito da organizzazioni islamiche tornava a casa dopo mesi o anni di prigionia. E così, ad esempio, il governo italiano avrebbe pagato 4 milioni (stessa cifra rivelata in questi giorni dal Giornale per Silvia Romano) per riportare a casa le "due Simone", Simona Torretta e Simona Pari, le cooperanti sequestrate il 7 settembre 2004 in Iraq e liberate il 29 dello stesso mese. A rivelarlo fu il Sunday Times citando fonti della stessa intelligence italiana.

Per la liberazione della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, invece, rapita in Iraq il 4 febbraio del 2005 e liberata un mese dopo, lo Stato italiano secondo quanto si lesse all'epoca avrebbe tirato fuori una cifra fra i 5 e i 6 milioni di euro. Polemiche nacquero intorno all’ipotesi del riscatto pagato per la liberazione del fotoreporter Gabriele Torsello, rapito 12 ottobre del 2006 in Afghanistan e rilasciato dopo 23 giorni. In quel caso, nonostante le smentite dello stesso Torsello, fu il fondatore di Emergency, Gino Strada, che si prodigò per ottenere il rilascio, a confermare ai magistrati che indagavano sulla vicenda il pagamento di due milioni di dollari.

L’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga, in un’intervista televisiva rilasciata il 2 aprile del 2007, riferì che i due milioni "sono stati pagati'' ma forse già restituiti all’Italia dalla Gran Bretagna. I soldi, disse Cossiga, ''sono stati presi probabilmente dai fondi riservati dei servizi di informazione e sicurezza, ma non mi meraviglierebbe che ci fossero stati restituiti" dal "governo di Sua Maestà britannica", visto che, e qui Cossiga si fece ironico, Torsello "è un ragazzo che vive da lungo tempo in Gran Bretagna e loro si affezionano a chi vive da loro". Nella stessa intervista l’ex Capo dello Stato aggiunse: "Il governo non dovrebbe mai trattare''.

Mezze conferme e secche smentite sul pagamento di un riscatto anche per quanto riguarda il rapimento di Daniele Mastrogiacomo, il giornalista di Repubblica rapito a Kandahar, in Afghanistan, il 5 marzo del 2007, e liberato 14 giorni dopo nel momento in cui il governo dell’allora presidente afghano Karzai cedette alle pressioni del governo italiano guidato da Romano Prodi (ministro della Difesa era Arturo Parisi e ministro degli Esteri Massimo D’Alema) e liberò, come chiesto dai rapitori, quattro talebani tenuti prigionieri. Nel novembre del 2010 Mario Calabresi scrisse sulla Stampa che per l’inviato di Repubblica fu pagato un riscatto, ma la notizia venne smentita dal governo italiano e poi ribadita da Calabresi citando fonti del Dipartimento di Stato americano.

Nel 2008, poi, vennero rilasciati i due cooperanti della Ong "Cins" Giuliano Paganini e Jolanda Occhipinti, rapiti il 21 maggio di quell’anno a poche decine di chilometri da Mogadiscio. Fonti somale dichiararono che per il loro rilascio, dopo una prima richiesta di 1 milione di dollari, ne vennero pagati 700mila. Altre fonti parlarono di 100mila dollari pagati in contanti con la promessa di versarne un’altra tranche dopo la liberazione. Entrambe le indiscrezioni vennero seccamente smentite dalla Farnesina.

E siamo al 14 agosto del 2011, quando nel Sud del Darfur fu rapito Francesco Azzarà, volontario di Emergency. La sua liberazione avvenne il 16 dicembre. Anche in quel caso la Farnesina smentì il pagamento del riscatto. Nel dicembre del 2011, dopo più di 10 mesi nelle mani dei pirati somali, venne liberata la petroliera battente bandiera italiana "Savina Caylyn", con cinque componenti dell’equipaggio a bordo. Il ministero degli Esteri dichiarò, ancora una volta, che non era stato pagato nessun riscatto, ma il sito "Somalia Report", citando fonti dei pirati, scrisse che per il rilascio della petroliera vennero pagati 11,5 milioni di euro in due tranche.

Un mese prima fu posto fine anche al sequestro del mercantile italiano "Rosalia D’Amato" sequestrato il 21 aprile del 2011 al largo delle coste dell’Oman, Oceano Indiano. A bordo c’erano 6 italiani e 16 filippini. In quel caso sia la Farnesina che lo stesso comandante negarono il pagamento del riscatto. Quattro milioni di dollari, poco meno di 3 milioni di euro, potrebbero essere stati poi pagati per il rilascio dell’inviato della Stampa Domenico Quirico (e del docente belga Pierre Piccinin), rapito in Siria il 9 aprile del 2013 e rilasciato dopo 150 giorni di prigionia. In quel caso a svelare il pagamento del riscatto fu lo stesso negoziatore, identificato dalla rivista americana Foreign Policy, che in un articolo titolato "The Italian job" riportò la testimonianza di Motaz Shaklab, membro della Coalizione nazionale siriana a Istanbul. "Ho visto i soldi con i miei occhi, ed ero presente quando sono stati consegnati ai rapitori", disse Shaklab.

Dodici, invece, i milioni presumibilmente pagati per ottenere il rilascio di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rapite in Siria il 31 luglio del 2014 e liberate nel gennaio successivo. Anche in quel caso le polemiche furono infuocate. Matteo Salvini scrisse su Twitter che "se veramente per liberare le due amiche dei siriani il governo ha pagato un riscatto di 12 milioni, sarebbe uno schifo". Dichiarazione a cui replicò 24 ore dopo l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: "Sul presunto riscatto pagato per il rilascio delle due cooperanti italiane, ho letto riferimenti ed indiscrezioni prive di reale fondamento e in qualche caso anche veicolate addirittura da gruppi terroristici. Mi sorprende che a queste illazioni sia stato dato da taluno credito senza alcuna verifica". Il titolare della Farnesina poi ribadì che "in tema di rapimenti, l’Italia si attiene a regole e comportamenti condivisi sul piano internazionale. Abbiamo operato in continuità con la linea seguita nel tempo dai governi che si sono succeduti. Non è la linea di questo governo, è la linea dell’Italia". E subito dopo: "Noi siamo contrari al pagamento di riscatti e partecipiamo al contrasto multilaterale del fenomeno del sequestro di persone a scopo di riscatto. E nei confronti degli italiani presi in ostaggio, la nostra priorità è indirizzata alla tutela della loro vita e integrità fisica". Intervenne anche il governatore del Veneto Luca Zaia: "In Italia – disse - si introduca una norma per cui chi si mette nei guai, si arrangi a tirarsi fuori". L’allora premier Matteo Renzi spiegò che "tutto il Pd si riconosce nelle parole di Gentiloni", mentre Giorgia Meloni disse che "è folle che dei comuni cittadini, o peggio delle ragazzine totalmente inesperte, si improvvisino cooperatori internazionali e vadano allo sbaraglio in zona di guerra. Peraltro non si capisce bene a fare cosa e a favore di chi, così come non si capisce perché queste scelte sconsiderate debbano poi diventare un problema per lo Stato".

Polemiche a parte, poco prima del rilascio delle due cooperanti, nel novembre 2014 il riscatto, un milione e testa, sarebbe stato pagato anche per la liberazione di Marco Vallisa, tecnico piacentino rapito il Libia il 5 luglio 2014, e Gianluca Salviato, tecnico scomparso nell'est della Libia il 22 marzo 2014.

Il 4 marzo del 2016 furono liberati in Libia Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, tecnici della ditta "Bonetti" (furono invece uccisi i loro due colleghi Fausto Paino e Salvatore Failla). In quel caso l’allora presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, disse: "Ho sentito del pagamento di un riscatto e ho sentito del pagamento di un riscatto in mani sbagliate. Dico solo che delle modalità di risoluzione di un sequestro come questo il Comitato che presiedo viene informato e può acquisire tutta la documentazione in merito. Per questo posso dire che non mi risulta che ci sia stata una scelta di questo tipo".

Più di recente, poi, di riscatto si è parlato anche per il rilascio di altri tre italiani rapiti. Quello pagato per l’imprenditore Sergio Zanotti, rapito durante un viaggio in Turchia, nei pressi del confine siriano, e liberato nell’aprile del 2019 dopo tre anni di prigionia (un rapimento ritenuto anomalo da molte fonti). Nel suo caso, fu negata anche la richiesta di riscatto, ma fu lo stesso imprenditore a dichiarare: "Se non fosse stato pagato un riscatto non sarei qui".

Ancora più incerto il pagamento del riscatto per il rilascio del 34enne bresciano Alessandro Sandrini, anch’egli rapito nell’ottobre del 2016 al confine fra Turchia e Siria e rilasciato nel maggio del 2019. Così come per la liberazione dell’architetto 31enne di Padova Luca Tacchetto, sequestrato in Burkina Faso e liberato in Mali nel marzo scorso. Nel suo caso si è lasciato intendere che non fosse stato pagato alcun riscatto. Infine, Silvia Romano. Alcuni fonti somale hanno riferito all’AdnKronos di un riscatto di 1,5 milioni di euro, altri parlano di 4 milioni, ma anche in questo caso la verità rimarrà seppellita sotto una fitta coltre di conferme ufficiose e smentite ufficiali.

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