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Burioni: "Non dimenticare lezione Hiv e importanza antivirali"

19 giugno 2020 | 13.45
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Il virologo: "Fu un'epidemia terribile. Non c'è vaccino ma farmaci efficaci hanno permesso di controllarla"

Roberto Burioni - Fotogramma
Roberto Burioni - Fotogramma

"Anthony Perkins, l'indimenticato protagonista di Psycho, il cantante dei Queen Freddie Mercury, lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov, il filosofo francese Michel Foucault, il ballerino russo Rudolf Nureyev, lo straordinario narratore di viaggi Bruce Chatwin, i fotografi Herb Ritts e Robert Mapplethorpe, il pittore Keith Haring, il tennista Arthur Ashe". E' un elenco incompleto di 'vittime illustri' dell'Aids quello citato dal virologo Roberto Burioni in un suo intervento pubblicato sul portale scientifico 'MedicalFacts'. L'esperto invita a non dimenticare il passato e le lezioni che arrivano da "una terribile epidemia" come quella di Hiv, "che ha sconvolto la terra a partire dagli anni '80". Epidemia che mostra "l'importanza dei farmaci antivirali".

"Quella che era una sentenza di morte", dice il docente dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, "ora è diventata una malattia controllabile e ci fa meno paura anche se non abbiamo ancora un vaccino, perché la capacità del virus di eludere il nostro sistema immunitario (capacità che il coronavirus pare proprio non avere) ne ha impedito la messa a punto nonostante decenni di ricerca intensissima". Se è vero che oggi "di infezione da Hiv non si guarisce, l'aspettativa di vita di una persona infettata e ben curata non è troppo dissimile da quella di una persona che non ha contratto il virus".

Chi di voi è più giovane di me, che ho 57 anni - racconta Burioni - oltre alla fortuna della giovinezza ne ha un'altra: non ha assistito alla comparsa e all'ascesa" dell'Aids. In quegli anni non erano disponibili cure efficaci" e l'infezione da Hiv "conduceva infallibilmente a una forma gravissima di distruzione del sistema immunitario, inesorabilmente mortale". Chi quegli anni non li ha vissuti, prosegue il virologo, "non può neppure immaginare il terrore che serpeggiava e soprattutto lo stigma che colpiva le persone anche solo sospettate di essere infettate da Hiv".

"Una delle prime celebrità che dichiarò di essere malato fu il famosissimo attore Rock Hudson, che comunicò la notizia mentre era ricoverato in un ospedale a Parigi - ripercorre Burioni - Immediatamente i pazienti della clinica iniziarono a scappare per paura del contagio e l'attore, per ritornare negli Stati Uniti, fu costretto a pagare una somma esorbitante per volare da solo su un 747". La scienza, ricorda però l'esperto, "è riuscita prima a isolare il virus (a quei tempi ci mise quasi 4 anni), poi a diagnosticare con precisione l'infezione (elemento decisivo per il controllo del contagio) e infine a produrre dei farmaci estremamente efficaci".

"Oltre a tutto questo - conclude Burioni - il paziente ben curato non è più infettivo e non diffonde l'infezione. Insomma, non male: un nemico mortale, che ha ucciso solo in Italia quasi 50 mila persone, trasformato nell'agente che causa una malattia con la quale tutto sommato, almeno nei Paesi dove i pazienti possono essere curati in maniera appropriata (purtroppo ci sono zone del mondo dove questo non avviene e la gente ancora muore di malattie curabili, dovremmo non scordarcelo, passata la pandemia), si riesce a convivere".

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