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Libri: quell'abbraccio più forte della violenza nel 'viaggio' di Nessuno tocchi Caino

23 agosto 2020 | 17.35
LETTURA: 3 minuti

Il racconto di Castellino nel libro di Nessuno tocchi Caino

Carcere Rebibbia (ROMA'S, Roma - 2014-02-12) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - FOTOGRAMMA
Carcere Rebibbia (ROMA'S, Roma - 2014-02-12) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - FOTOGRAMMA

Portare il perdono e l'abbraccio di una comunità ai propri figli che hanno sbagliato e che stanno pagando per degli errori terribili. L'incontro di Stefano Castellino, sindaco del piccolo comune dell'agrigentino di Palma di Montechiaro, con alcuni concittadini condannati all'ergastolo per reati di mafia era stato uno dei momenti più emozionanti dell'VIII congresso di Nessuno tocchi Caino dello scorso dicembre e l'associazione lo ha raccontato nel libro "Il viaggio della speranza - Immagini, parole e atti del Congresso di Nessuno tocchi Caino" (ed. Reality Book) distribuito ai suoi iscritti è in vendita sul sito ufficiale.

Castellino aveva 18 anni quando perse lo zio medico, ucciso dalla mafia: era per lui un secondo padre, una guida politica e di vita. Non ha ceduto però alla violenza: ha creduto nella redenzione del reo, nella necessità dell'incontro tra carnefici e vittime. Così nel settembre 2017, in occasione dell'anniversario della morte del giudice Rosario Livatino, ha riunito la sua comunità nella sede municipale e ha proiettato il docufilm "Spes contra spem-Liberi dentro" leggendo le lettere di Gaetano Puzzangaro e Salvatore Calafato, concittadini condannati per quel delitto, e altri due detenuti siciliani condannati all'ergastolo ostativo.

"Perché parlo di 23 anni fa? Perché 23 anni fa io perdevo quello che per me era un secondo papà - ha raccontato Castellino nel suo intervento al congresso -. Perdevo un secondo papà e anche quello che era il mio maestro politico e di vita. Il 12 febbraio del 1997 subiva un attentato mafioso mio zio, il dottor Giulio Giuseppe Castellino, e poi periva il 25 febbraio dello stesso anno vittima innocente della mafia. All'epoca avevo 18 anni ed ero molto diverso. Le considerazioni che oggi faccio e che sento mie, e che oggi vi dirò, sono profondamente diverse da quelle che ho fatto in quel momento. E voi capirete. Però oggi capisco che, se alla violenza si risponde con la violenza, è una spirale che non finisce mai. La risposta migliore che possiamo dare alla violenza è il perdono. Ma il perdono vero, sentito nell'anima. Quando poco fa ho abbracciato i miei concittadini all'orecchio mi è stata sussurrata una frase che vorrei ripetere. Mentre mi scusavo per l'emozione, i miei concittadini si scusavano con la città che rappresento in questo momento".

"Secondo me - ha aggiunto Castellino - è lo Stato che si dovrebbe interrogare, è un'intera società che si dovrebbe interrogare sul perché un ragazzo a 23 anni e mezzo decida di prendere, al bivio, la direzione errata, perché probabilmente la stessa società, lo stesso Stato, la stessa politica, gli stessi educatori, non hanno creato le condizioni necessarie affinché quel ragazzo avesse gli elementi per scegliere il bene". "Additare il mostro è un modo per sfuggire alle responsabilità di un'intera comunità".

"Io sono stato abituato, siamo tutti stati abituati, l'opinione pubblica è stata abituata, a vedere la disperazione di una mamma che non può più accarezzare suo figlio. O la disperazione di un figlio che non può più accarezzare il babbo. Non passa 2 settembre che io non mi disperi per non potere più baciare mio zio. Quella è un'immagine. Poi c'è un'altra immagine: il vostro desiderio di poter accarezzare i vostri figli o i vostri genitori e il medesimo identico valore", ha concluso.

Commossa la risposta di Puzzangaro: "Credevo di non far più parte di quella comunità, per quel passato ferito che ritorna sempre". Tornare a sentirsi cittadino: è il miracolo umano di "spes contra spem", una speranza che non è attesa inerte, ma coraggio di guardare dentro se stessi.

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