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Covid, idrossiclorochina riduce mortalità in ospedale: studio italiano

25 agosto 2020 | 19.32
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Ricerca coordinata da Neuromed condotta in 33 nosocomi italiani su pazienti ricoverati

(Fotogramma)
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L'idrossiclorochina, vecchio farmaco antimalarico tornato alla ribalta, con non poche polemiche, per il trattamento di Covid-19, ha dimostrato, in uno studio condotto in 33 ospedali italiani, di ridurre del 30% il rischio di morte nei pazienti ospedalizzati per infezione da coronavirus. I risultati della ricerca, coordinata dall'Irccs Neuromed di Pozzilli (Is), portano "un contributo positivo al dibattito in corso su scala internazionale relativamente all’utilizzo dell’idrossiclorochina nella attuale pandemia", commenta l'istituto molisano.

La ricerca, condotta su 3.451 pazienti ricoverati per Covid in 33 ospedali di tutto il territorio nazionale italiano che hanno formato la collaborazione 'Corist' (COvid-19 RISk and Treatments), pubblicata sulla rivista scientifica European Journal of Internal Medicine, è stata coordinata dal Dipartimento di Epidemiologia e prevenzione del Neuromed, in collaborazione con Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università di Pisa. I ricercatori hanno analizzato numerosi parametri dei pazienti, tra i quali le patologie pregresse, le terapie che seguivano prima di essere colpiti dall’infezione e le terapie intraprese in ospedale specificamente per il trattamento di Covid-19. Tutte queste informazioni sono state confrontate con l’evoluzione e l’esito finale dell’infezione.

"Abbiamo potuto osservare - spiega Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo Neuromed, attualmente presso Mediterranea Cardiocentro di Napoli - che i pazienti ai quali è stata somministrata idrossiclorochina hanno avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore del 30% rispetto a quelli che non avevano ricevuto questo trattamento, naturalmente a parità delle altre condizioni valutate". "I nostri dati - prosegue Di Castelnuovo - sono stati sottoposti ad analisi statistiche estremamente rigorose, che hanno tenuto conto di tutte le variabili e tutti i possibili fattori di confondimento che potessero entrare in gioco e hanno valutato il ruolo di questo farmaco in svariati sottogruppi di pazienti. Il risultato favorevole all’uso dell’idrossiclorochina si è mantenuto invariato, rivelandosi particolarmente efficace nei pazienti che, al ricovero, mostravano uno stato infiammatorio più evidente".

"In attesa di un vaccino, identificare terapie efficaci rappresenta una priorità assoluta -dice Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento di Epidemiologia e prevenzione di Neuromed e professore ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università dell’Insubria a Varese – e siamo convinti che questa ricerca darà un contributo importante al dibattito internazionale sul ruolo dell’idrossiclorochina nella terapia dei pazienti ospedalizzati per coronavirus. Ulteriori studi osservazionali e trial clinici attualmente in corso - aggiunge - permetteranno di valutare con precisione il ruolo del farmaco e le modalità di somministrazione più adeguate. Ma i dati sostengono l’utilizzo nei pazienti Covid-19 dell’idrossiclorochina alle dosi usate in Italia (200 mg, due volte al giorno), più basse di quelle usate in studi effettuati in altri Paesi e che non hanno osservato un’efficacia del farmaco".

"In questi mesi - commenta Giovanni de Gaetano, presidente di Neuromed - l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato uno stop all’ utilizzo dell’idrossiclorochina sulla base di uno studio osservazionale internazionale, successivamente ritirato dagli stessi autori della ricerca. Ora i dati dello studio Corist, derivanti da una straordinaria collaborazione nazionale, potranno aiutare le autorità competenti a meglio chiarire il ruolo di questo farmaco nel trattamento dei pazienti Covid-19”.

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