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Racket bancarelle a Roma, "graduatoria e prezzario fino a 700 euro al giorno"

23 settembre 2020 | 13.41
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Sistema corruzione consolidato andava avanti almeno dal 2006

Racket bancarelle a Roma,

Un sistema di corruzione consolidato che andava avanti almeno dal 2006 nella gestione dei posti per venditori ambulanti a Roma. E’ quanto hanno scoperto inquirenti e militari del Nucleo Speciale Polizia Valutaria della Guardia di Finanza e dal personale della Polizia Locale di Roma Capitale nell'ambito dell'indagine sul cosiddetto racket delle autorizzazioni per il commercio su strada con il coinvolgimento di pubblici ufficiali, imprenditori ed esponenti del sindacato Fivag Cisl. Sono 18 le persone arrestate. Per l’assegnazione delle aree c’era una sorta di ‘graduatoria’ con un prezzario che variava a seconda della loro posizione più o meno centrale e che poteva arrivare fino a 700 euro al giorno. Tra le aree più ‘costose’ c’erano quelle di via Cola di Rienzo e nel resto del centro della Capitale.

A gestire l’organizzazione erano rappresentanti sindacali tra cui i due membri della famiglia Tredicine, i fratelli Dino e Mario, il primo in carcere il secondo ai domiciliari, con la complicità di due ex funzionari pubblici Alberto Bellucci, all’epoca dei fatti capo dell’ufficio Discipline e rotazioni, e Fabio Magozzi, dipendente dello stesso ufficio, che in cambio hanno ricevuto soldi, circa 110mila euro, e regali, assegnando a loro discrezione le bancarelle. Bellucci, per conto del Comune, doveva controllare e gestire anche i ricorsi che venivano presentati dall’organizzazione, per conto dei quali ‘aggiustava’ poi le pratiche per l’assegnazione delle bancarelle. “Finché c’è Alberto la categoria non trema” dicevano gli arrestati intercettati. Secondo il gip, Bellucci, “asserviva costantemente le funzioni del proprio ufficio agli interessi economici dei fratelli Tredicine, Dino e Mario”.

Documentato nelle fasi delle indagini un caso di corruzione in cui il funzionario comunale ‘intasca’ dei soldi e dice “domani vado a parlare col Comune e la pratica così è sistemata”. A far scattare l’indagine è stata nel 2018 la denuncia di un cittadino del Bangladesh che aveva subito anche minacce.

"TREDICINE TENTÒ DI NASCONDERE DOCUMENTI IN BOX E FURGONI" - "La pericolosità criminale di Dino Tredicine emerge altresì dagli scomposti tentativi, che lo stesso voleva attuare attraverso parenti o conoscenti dopo aver appreso della esistenza delle indagini, di occultare quanta più documentazione possibile depositandola in box, cantine o locali, o addirittura mettendola all’interno di un furgone o dietro una parete in muratura realizzata allo scopo", scrive ancora il gip nell'ordinanza, citando a proposito una conversazione di Dino col figlio Dario: “…se vanno a vede’ tutto quanto il sistema potrebbero ritorna’ e dimme ‘laltra roba addo’ ce l’hai’, capito?”. E il figlio risponde: “Glielo dimo a Virgilio, da qualche parte se mette dentro ai garage da qualche altra parte”. E il padre replica: “Sennò se potrebbe piglia’ un furgone in affitto a nome di qualcuno, a nome nostro no!”.

In un’altra conversazione fra i due il figlio dice: “Papà, digli a mamma che levasse subito i soldi, dalle buste digli che levasse pure subito i soldi perché sembra che so’ bustarelle hai capito? Digli così…quelli de via del Corso levateceli subito, e intanto quelli l’altro giorno qua l’hanno trovati”.

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