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Vaccino Covid, i dubbi del pioniere della nanomedicina

26 ottobre 2020 | 14.22
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Mauro Ferrari: "Non saranno soluzione finale se non accompagnati da agenti terapeutici"

Immagine di repertorio (fotogramma)
Immagine di repertorio (fotogramma)

Contro Covid-19 "io credo che arriveranno dei vaccini in clinica nei prossimi 3-4 mesi, ma non credo che nessuno sarà in grado di dare la protezione o l'immunità a tutte le persone che lo riceveranno. Nessun vaccino dà la copertura completa, ma c'è una bella differenza fra 90 e 10% chiaramente". E' l'analisi di Mauro Ferrari, scienziato italiano pioniere negli Usa nel campo della nanomedicina ed ex presidente del Consiglio europeo della ricerca (Erc).

Sul coronavirus Sars-CoV-2, osserva l'esperto che è presidente e Ceo di Dompé X-Therapeutics e professore di Scienze farmaceutiche dell'università di Washington, "non c'è dubbio che scoperte importanti siano già state fatte. Per esempio abbiamo capito che questa è una malattia diversa con declinazioni veramente particolari e richiederà una scienza nuova e straordinaria. Ma, prima di arrivarci, servono soluzioni più immediate: vaccini, agenti terapeutici. Ce ne sono più di 200 in fase di sviluppo e sperimentazione. La mia intuizione, che magari si dimostrerà sbagliata, è che questi vaccini copriranno il 5-10-15-20%". Una percentuale "più vicina al 10 che al 90%", prevede intervenendo oggi in Italia all'evento 'Oltre l'emergenza', promosso da Innovabiomed a Veronafiere.

Per Ferrari "ci sarà forse bisogno di creare vaccini personalizzati o cocktail di vaccini diversi - ipotizza - E comunque sia, non credo che sarà il vaccino di per sé la soluzione finale, se non verrà accompagnato da agenti terapeutici in grado di risolvere per esempio la crisi polmonare, o altre crisi di diversa natura che si presentano nella cascata conseguente all'infezione da Covid. Si tratterà forse di avere vaccini e agenti terapeutici insieme, in una maniera che ancora non conosciamo".

"Farei un passo indietro per capire le lezioni importanti che ci arrivano da Covid-19. La chiave, a mio avviso, è non fare da soli. Non è possibile approcciarsi in maniera individuale" alla pandemia "da parte di chi vuole portare soluzioni al problema. Anche perché o si risolve per tutti o non si risolve per nessuno. Nessuno è al sicuro finché restano focolai attivi. Tutta questa frammentazione che vediamo a livello mondiale, a livello continentale in Europa, o in Italia a livello delle regioni, fa a cazzotti con il concetto di trovare una soluzione che funzioni per tutti. Può dare protezioni particolari a piccoli segmenti di popolazione nei tempi brevi, ma per questa malattia si parla sempre di quanto la curva è alta, bisogna pensare anche a quanto è lunga", è la riflessione di Ferrari.

"In momenti difficili - sottolinea - è necessario mandare messaggi positivi e produttivi, di visione. Non solo messaggi di protezione. Non ci possiamo nascondere tutti in cantina, dobbiamo continuare a vivere in maniera affermativa. Questo non è un tipo di problema risolubile con una singola prospettiva disciplinare. Gli infettivologi e virologi non me ne vogliano, ma serve tecnologia, matematica e tante altre cose fortemente collegate. Non bastano vaccini, agenti terapeutici, strumenti di monitoraggio da soli, ci vuole strategia multidimensionale".

Ci vuole, per Ferrari, "un discorso comunitario allargato. Va bene, siamo sotto assedio da parte di Covid, ma quale castellano mette tutti i soldati sulla porta d'ingresso da dove arriva il nemico? - si chiede l'esperto che è presidente e Ceo di Dompé X-Therapeutics e professore di Scienze farmaceutiche dell'università di Washington - Se concentriamo tutte le difese lì, cosa accade alla clinica oncologica, alla clinica vascolare, alla clinica psichiatrica. L'impatto di Covid è subdolo e molto pervasivo".

"Dobbiamo avere la lucidità di mettere risorse contro il virus senza perdere la prospettiva globale - incalza Ferrari - Altrimenti se blocchiamo il Paese, andiamo in cantina e non pensiamo a niente, magari riusciamo a non prendere Covid per le prossime settimane, ma cosa troviamo quando riemergiamo? Sono discorsi difficili quelli che dobbiamo affrontare, che richiedono equilibrio".

Una pandemia "non è un problema che può affrontare un Einstein con l''eureka', ma richiede squadre multidisciplinari al lavoro". Serve lavoro di squadra e visione globale per lo scienziato: "O tutti o nessuno è un principio etico su cui si deve basare la medicina. Ma tutto questo è lontanissimo da dove siamo adesso nel mondo: oggi facciamo farmaci bellissimi, farmaci target, ma poi sono distribuiti a prezzi straordinariamente alti a una frazione bassissima delle persone nel mondo. E' lo stesso concetto di Covid. O troviamo un modo per tutti, o le conseguenze saranno gravissime".

Oggi, conclude, "possiamo combattere una pandemia gravissima come Covid-19 con strumenti migliori di quelli disponibili 600-700 anni fa ed è proprio perché ci sono state scoperte e avanzamenti. Non sono ancora abbastanza ma certamente importanti. Dal punto di vista della ricerca e dell'innovazione in biomedicina il nostro dovere è dunque rimboccarci le maniche e portare a questa battaglia tutte le armi di cui siamo capaci. Dobbiamo farlo per questa pandemia e per quelle future, perché la globalizzazione da cui il pianeta trae benefici, ha anche conseguenze negative, come la rapidità con cui possono spargersi le infezioni virali per cui non abbiamo soluzioni pronte".

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