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Crisanti: "Da giugno è stato fatto poco o nulla"

10 novembre 2020 | 20.17
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(Fotogramma)
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"La vera sfida è come evitare la terza ondata" di Covid-19. "E se si continua su questa strada, temo sarà inevitabile". E' il monito di Andrea Crisanti, docente di microbiologia all'università di Padova e direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell'Azienda ospedaliera di Padova, che è stato sentito oggi in videocollegamento per un'audizione informale alla Commissione Affari sociali della Camera. "Possiamo investire in tutte le terapie intensive che vogliamo, su tutti gli ospedali, ma sicuramente non fermeremo così la terza ondata". Serve creare una strategia per bloccare la trasmissione, ribadisce il virologo che propone un modello, basato sul network testing. "Chiaramente ci vogliono figure che conoscono i sistemi complessi e sanno farli funzionare. Ci vogliono professionalità che non vedo presenti nel Cts ora. Ci vuole il contributo anche di ingegneri dei sistemi, matematici, informatici, immunologi per creare una struttura che ci porti fuori da questa epidemia".

IL NETWORK TESTING - "A Vo', durante l'epidemia" di Covid-19 di marzo-aprile, "si è interrotta la trasmissione di Sars-CoV-2. Noi adesso sappiamo che se avessimo fatto solo il contact tracing, avremmo lasciato circa il 60% delle persone infette a 'piede libero', creando un ulteriore carico di infezione e dopo 20 giorni il 50% della popolazione di Vo'" Euganeo "sarebbe rimasta infetta. Il messaggio di questo studio è che il contact tracing è inefficiente, non è scalabile e non è lo strumento giusto per bloccare la trasmissione. Lo strumento giusto è il network testing. Per ogni persona infetta, cioè, bisogna testare sistematicamente tutta l'area di relazione".

"DA GIUGNO SI E' FATTO POCO O NULLA" - "Io penso che siamo in questa situazione perché da giugno a oggi non abbiamo fatto nulla o abbiamo fatto molto poco". Il virologo ha portato l'esempio di Vo' Euganeo proponendo un modello per controllare l'epidemia, basato sul 'network testing'. Ma per realizzare questo modello, fa notare Crisanti, serve "una capacità di fare test diagnostici affidabili che non si lascino scappare casi con falsi negativi; c'è bisogno di una rete informatica, in cui anche l'App Immuni trova una collocazione, che sia in grado di ricostruire i cluster in maniera spazio-temporale e prevedere le regioni che sono a rischio; e poi c'è bisogno della logistica per portare i test dove c'è bisogno". Su questi fronti però, a detta di Crisanti, non si sarebbe fatto abbastanza nei mesi estivi.

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